Droga in cambio di bestiame: il “baratto” tra mafia siciliana e calabrese. IL VIDEO

Droga in cambio di bestiame: il “baratto” tra mafia siciliana e calabrese. IL VIDEO

CATANIA – Un vero e propriop “do ut des” fra le organizzazioni criminali siciliane e calabresi. Si tratta del traffico di droga e bestiame che è stato scoperto a seguito delle indagini portate avanti dai carabinieri di Ragusa, da cui sono scaturiti, a partire da questa notte alle 3, 19 arresti.

Parliamo di un vero e proprio sodalizio tra la mafia ragusana, attiva a Vittoria e Comiso, quella di Agrigento e quella attiva in Calabria. 

Le indagini, in cui sono state coinvolte 33 persone, sono partite nel 2013 a seguito del ritrovamento in uno stabile che apparteneva a Concetto Giuseppe Errigo, uomo d’onore, di 35 grami di marijuana. Da lì, il lavoro degli inquirenti ha smascherato il traffico di cocaina che partiva da Gioia Tauro, nel calabrese, e finiva a Ragusa e ad Agrigento.

Il modus operandi per il trasporto della droga era ben studiato e sempre lo stesso: i viaggi di alcune famiglie siciliane con i bambini al seguito verso Reggio Calabria, Catanzaro e Vibo Valentia, erano solo una copertura per il trasporto di droga.

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Il rapporto confidenziale tra gli “esportatori” e gli “importatori” è stato messo in evidenza dagli accordi di “conto vendita”: spesso i calabresi fornivano la droga senza richiedere l’immediato compenso, contando sul pagamento una volta che la cocaina sarebbe stata rivenduta.

Fondamentale in questo traffico è sempre stato il ruolo ricoperto dalle donne che, spesso, sostituivano i mariti al momento dei loro arresti e istruivano i figli al “corretto” comportamento in caso di controlli da parte delle forze dell’ordine.

In quasi quattro anni di indagini, molteplici sono stati gli arresti che hanno permesso di ricostruire la dinamica degli illeciti come quello di un commerciante nel ragusano che aveva venduto cocaina ad una donna nel 2015. Da ciò è emersa l’esistenza ramificata di rivenditori e acquirenti. 

Ma non è finita qui. Dalle indagini è emerso anche un tacito accordo tra le consorterie siciliane quelle calabresi  da qui scaturiva l'”esportazione”, questa volta dalla Sicilia alla Calabria, di animali che poi venivano rivenduti o macellati in Calabria.