Responsabilità civile dei medici: storica sentenza del Tribunale di Milano

Responsabilità civile dei medici: storica sentenza del Tribunale di Milano

MILANO – Ogni anno 30.000 cause di contenzioso medico-legale giungono nei tribunali italiani e di queste oltre il 98,8% termina con una assoluzione o con una archiviazione del personale medico-sanitario.

Le richieste di risarcimento raggiungono cifre insostenibili sia per il singolo professionista che per la struttura sanitaria e ciò ha portato ad una crescita enorme dei costi delle polizze di assicurazione.

Il ricorso alla medicina difensiva costa ogni anno oltre 12 miliardi all’intero sistema sanitario nazionale per cui era necessario contenere il contenzioso medico legale. Ed è proprio in tale direzione che si è mosso clamorosamente il Tribunale di Milano nel luglio 2014 quando ha pronunciato in materia di responsabilità civile da “malpractice medica”, una sentenza che è stata già definita “storica”.

Il Tribunale in questione ha precisato che il rapporto che lega il paziente alla struttura sanitaria ha fonte nel contratto di “spedalità”, che ha ad oggetto l’obbligo della struttura pubblica o privata di adempiere sia alle prestazioni di carattere sanitario che alle prestazioni accessorie (ad es. fornire vitto e alloggio in caso di ricovero, ecc.) ed ha affermato che la responsabilità risarcitoria della struttura sanitaria in caso di inadempimento e/o inesatto adempimento delle prestazioni deve essere inquadrata, anche dopo la legge Balduzzi, nella responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c.

Il Tribunale di Milano con riguardo alla responsabilità del medico dipendente e/o collaboratore della struttura sanitaria, nella sua sentenza ha ricordato che a partire dal 1999, la giurisprudenza pressoché unanime aveva ritenuto che anch’essa andasse inquadrata nella responsabilità ex art. 1218 c.c., e ciò anche in assenza di un contratto concluso con il professionista.

Ma, prosegue il Tribunale, per effetto di tale lettura interpretativa, negli anni si è assistito ad una sempre maggiore esposizione di tale categoria professionale al rischio di dover risarcire danni anche ingenti e ciò ha contribuito all’esplosione del fenomeno della cosiddetta “medicina difensiva” (ovvero, l’eccesso di esami e accertamenti chiesti dai medici per evitare potenziali rivendicazioni da parte dei pazienti), che ha avuto notevoli ricadute anche sulla spesa pubblica.

Poi, con l’entrata in vigore della legge Balduzzi (il cui dichiarato scopo è stato proprio quello di contenere la spesa pubblica e arginare il fenomeno della medicina difensiva sopra descritto) si è aperto in dottrina e giurisprudenza un acceso dibattito sul regime non del tutto chiaro della responsabilità medica da “malpractice”.

Ed il Tribunale di Milano, con la sua sentenza volutamente dirimente, ha affermato che, al di fuori dei casi in cui il paziente abbia un rapporto contrattuale diretto con il professionista, è attribuibile al medico solo una responsabilità civile da fatto illecito ex art. 2043 c.c. (e non più ex art. 1218 c.c.), con tutto ciò che ne consegue sia in tema di riparto dell’onere della prova, sia di termine di prescrizione quinquennale (e non più decennale) del diritto al risarcimento del danno.

Per il Tribunale di Milano tale conclusione dovrebbe «favorire la cosiddetta alleanza terapeutica fra medico e paziente, senza che venga inquinata da un “obbligo di risultato” al quale il medico non è normativamente tenuto (ma che, di fatto, la responsabilità ex art. 1218 c.c. da “contatto sociale” finiva a volte per attribuirgli) e che è spesso alla base di scelte terapeutiche “difensive”, pregiudizievoli per la collettività e talvolta anche per le stesse possibilità di guarigione del malato», coerentemente con quella che è la ratio legis.

Inoltre, ha affermato il Tribunale che «il superamento della teoria del “contatto sociale” non comporta un’apprezzabile compressione delle possibilità per il danneggiato di ottenere il risarcimento dei danni, e ciò in ragione sia del diverso regime giuridico (art. 1218 c.c.) applicabile alla responsabilità della struttura presso cui il medico opera, sia della prevedibile maggiore solvibilità della stessa».

Pertanto, sinteticamente e in conclusione, il giudice milanese ha statuito che:
– se, dunque, il paziente/danneggiato agisce in giudizio nei confronti del solo medico con il quale è venuto in “contatto” presso una struttura sanitaria, senza allegare la conclusione di un contratto con il convenuto, la responsabilità risarcitoria del medico va affermata soltanto in presenza degli elementi costitutivi dell’illecito ex art. 2043 c.c. che l’attore ha l’onere di provare (ossia dolo o colpa grave);
– se, nel caso suddetto, oltre al medico viene convenuta in giudizio dall’attore anche la struttura sanitaria presso la quale il professionista ha operato, la disciplina delle responsabilità andrà distinta (quella ex art. 2043 c.c. per il medico e quella ex art. 1218 c.c. per la struttura), con conseguente diverso atteggiarsi dell’onere probatorio e diverso termine di prescrizione del diritto al risarcimento.

Il che appare paradossale. A proposito occorre ricordate che l’art. 2043 c.c. sancisce che “Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

Qualunque ulteriore commento è superfluo.

Avv. Elena Cassella del Foro di Catania