“Minchia Signor Tenente”, la coinvolgente piéce sulla mafia che fa riflettere sorridendo

“Minchia Signor Tenente”, la coinvolgente piéce sulla mafia che fa riflettere sorridendo

CATANIA – Sul palco del Brancati va in scena l’intelligente e astuta pièce “Minchia signor tenente”, giunta all’ottavo anno di repliche in scena fino al 9 aprile, diretta da Nicola Pistoia e scritta da Antonio Grosso il quale interpreta Vincenzo D’Onofrio il brigadiere di una sperduta caserma dei carabinieri di un paesino della provincia siciliana.

Nella monotona vita della stazione della Benemerita scossa solo dalle incursioni del tonto del paese Domenico Pararella, interpretato da un eccellente Adriano Aiello, che per troppa solitudine si ritrova ogni giorno a fare denunce immaginarie di furti mai subiti, tra solidarietà cameratesche e voglia di dare un senso alla divisa indossata aleggia la Sicilia della strage di Capaci e di tutte le vittime uccise per mano mafiosa.

Uno spettacolo che nonostante l’inevitabile ilarità per i divertenti alterchi tra il maresciallo Antonio Chichierchia, (Antonello Pascale), con l’appuntato Giorgio Milito, (Gaspare Di Stefano), il carabiniere Remo Moroni voglioso di impugnare una pistola in mano, (Gioele Rottini), e l’impossibile storia d’amore vietata dal regolamento dell’arma tra la passionale fornaia Sara, (Federica Carruba Toscano), e il carabiniere Francesco Merilli, (Franesco Sigillino), fa riflettere catturando l’attenzione del pubblico dall’inizio alla fine.

La normale routine della piccola stazione viene sconvolta da due eventi: l’arrivo del saccente tenente Attilio Prisco, (Francesco Nannarelli), arrivato dal nord per scovare il latitante nascosto nel paesino e l’ordine per due dei carabinieri della caserma di scortare un giudice.

Il cuore dell’azione, come si evince dalla divertente deposizione di Pararella, si svolge il 20 maggio 1992 tre giorni prima dell’atroce delitto di Giovanni Falcone e della sua scorta dove il sorriso, le gag esilaranti e gli applausi divertiti del pubblico in sala lasciano il posto alla tragedia e all’impotenza di quella Sicilia che combatte e non si arrende alla legge del più forte ma che urla contro l’indifferenza del tenente ovvero dello Stato come raccontato nella canzone di Giorgio Faletti da cui prende il titolo lo spettacolo e di tutti coloro che con menefreghismo leggono tra i giornali i nomi di due uomini ammazzati per dovere, mentre troppe domande rimangono irrisolte.

Grande commozione per il finale, sulle note di Fango di Jovanotti, mentre scorrono le immagini delle vittime della mafia, i veri eroi dei nostri tempi.

 

Elisa Guccione