Dissesto idrogeologico: a rischio le coste ioniche messinesi

Dissesto idrogeologico: a rischio le coste ioniche messinesi

CATANIA – Ogni giorno 7 milioni di cittadini si trovano in zone esposte al pericolo di alluvioni o frane. Nel 77% dei comuni (1.074) sono presenti abitazioni in aree a rischio. Nel 31% addirittura sono presenti interi quartieri e nel 51% dei casi sorgono impianti industriali. E, come se non bastasse, nel 18% dei comuni interessati, nelle zone a rischio sorgono scuole od ospedali; nel 25% anche strutture commerciali. Sono solo alcuni dei numeri sul rischio idrogeologico in Italia presentati nel rapporto firmato LegambienteEcosistema rischio 2016 – Monitoraggio sulle attività nelle amministrazioni comunali per la mitigazione del rischio idrogeologico”.

Per capire meglio cosa siano il rischio e il dissesto idrogeologico, Newsicilia ha interpellato il geologo Antonino D’Agostino.

Cosa si intende per dissesto idrogeologico?

“Il dissesto idrogeologico è l’insieme dei processi morfologici che possono alterare l’equilibrio di un suolo degradandolo (attraverso fenomeni quali l’erosione superficiale, le alluvione, le frane, ecc.). Le cause dei fenomeni di dissesto idrogeologico, quindi, dipendono da fattori naturali correlati a particolari condizioni atmosferiche, alla morfologia del bacino idrografico e del suolo e alla sua copertura vegetale”.

L’uomo può essere una concausa del dissesto idrogeologico?

“Ovviamente c’è da dire che le ‘cause naturali’ sono condizionate dalle attività antropiche. Basti pensare alle opere di cementificazione e di urbanizzazione, alla deforestazione, alle emissioni di gas in atmosfera (causa del surriscaldamento globale)”.

Cosa indica, invece, il rischio idrogeologico?

“Il rischio idrogeologico identifica il rischio connesso alla instabilità di un suolo a causa di aspetti geomorfologici, idrici, ambientali e meteorologici. In Italia è altamente diffuso e si presenta in modi diversi a seconda della morfologia del territorio e delle litologie caratterizzanti il suolo e il sottosuolo. Il rischio idrogeologico è determinato analiticamente da una formula che lega tra loro pericolosità (probabilità che un dato fenomeno accada), vulnerabilità (variabile ambientale come la densità abitativa, il numero di edifici per kmq, ecc.) e l’esposizione (valore delle risorse naturali e non esposte al pericolo)”.

Cosa accade nello specifico a un terreno in presenza di forti e prolungate piogge?

“Dipende dal tipo di terreno. Nelle zone ricadenti all’interno del cosiddetto comprensorio etneo, per via delle colate laviche che negli anni si sono sovrapposte, si è, per lo più, in presenza di suoli e sottosuoli lavici. Su un ‘pavimento’ lavico l’acqua tende a ‘scivolare’, se invece le lave sono fratturate l’acqua può insinuarsi più o meno in profondità. Difficilmente nelle lave si verificano fenomeni di crolli o di frane, quindi sono classificabili come terreni altamente coesivi (ossia ben stabili). Nei terreni incoerenti, invece, l’acqua può essere molto pericolosa perché fra i granelli che lo compongono c’è aria, quindi l’acqua vi si insinua e va a cambiare totalmente la resistenza del terreno stesso. Esempi di terreni incoerenti sono le sabbie (nelle quali si può verificare il fenomeno della liquefazione). A grandi linee possiamo comunque affermare che più un terreno assorbe l’acqua e più può essere pericoloso ai fini della stabilità di un suolo”.

E per quanto riguarda le argille?

“I terreni argillosi sono fra i più pericolosi quando si verificano eventi meteorologici anomali o estremi (alluvioni). Tecnicamente le argille sono un tipo di terreno impermeabile, però a volte può capitare che ‘si impastino’ con l’acqua creando colate e/o smottamenti. Un’altra variabile importante quando si parla di argille è la stratigrafia, ossia capire al di sopra di quali litologie si vanno a impostare. Un esempio in tal senso è fornito dalla collina di Vampolieri, più comunemente conosciuta come ‘collina di Acitrezza’, essa è caratterizzata da colate laviche con in testa particolari tipi di marne e argille. Nel punto in cui nel terreno avviene il contatto fra colate laviche e argille, l’acqua può insinuarsi fungendo da  cuscinetto e causando in tal modo uno ‘scivolamento’ dei terreni incoerenti su quelli coerenti”.

Quali rischi corre il versante orientale della Sicilia?

“Il rischio idrogeologico è molto alto nelle coste ioniche del Messinese, dove si è in presenza di versanti molto ripidi con coperture di terreni incoerenti. Quando si verificano forti piogge, i terreni incoerenti assorbono acqua dando vita a colate fangose, smottamenti e frane”.

Quali provvedimenti andrebbero presi per scongiurare o quantomeno arginare il dissesto idrogeologico?

“Innanzitutto bisognerebbe rivalutare e implementare la figura del geologo a tutti i livelli amministrativi, dargli più importanza e il posto che gli spetta. Se si costruisce senza prendere le giuste precauzioni e non si fanno gli interventi corretti affinché il rischio possa minimizzarsi, non si andrà da nessuna parte. Chi deve analizzare la zona dal punto di vista geomorfologico e geologico è appunto il geologo. Poi occorre avere buon senso, limitare l’abusivismo, evitare di costruire in zone in cui il rischio è alto ed effettuare regolarmente la giusta manutenzione delle opere antropiche. È una questione etica: non si scherza con la vita dell’uomo”.