Ciancimino jr: il “signor Franco” dietro la trattativa Stato-Mafia

Ciancimino jr: il “signor Franco” dietro la trattativa Stato-Mafia

PALERMO –  C’è un uomo misterioso dietro la deposizione di Massimo Ciancimino.

Un uomo che faceva da tramite tra Stato, servizi segreti e Mafia. 

La deposizione di Ciancimino jr si era interrotta ieri parlando di un certo “signor Franco“.

C’era un tizio, che chiamava ‘signor Franco’, che faceva da postino tra lui e appartenenti agli apparati di sicurezza dello Stato. Certamente già nel 1984 il signor Franco frequentava mio padre e gli forniva informazioni“.

Alla domanda del magistrato se il ‘signor Franco’ sapesse dei rapporti di suo padre con Provenzano, Ciancimino replica:  ”Assolutamente sì. Era stato preposto a questi rapporti già dal ministro Restivo”.

Provenzano avrebbe anche saputo dei contatti fra Vito Ciancimino e i servizi segreti.L’ho saputo nel 2000 da mio padre, mentre preparavo il memoriale, che mi raccontò come era nato e si era evoluto il rapporto con i servizi segreti per fatti di livello nazionale che avevano influenze anche a livello locale per Cosa nostra“.

Stamane incalzato dalle domande di Nino Di Matteo ha spiegato che aveva il numero “dell’uomo dei servizi segreti. Sim che era stata sequestrata dai carabinieri nella mia abitazione di via Torrearsa, a Palermo, assieme ad altre cose. Successivamente ho riavuto tutto ma la Sim è scomparsa“. Ha poi assicurato che il padre non gli ha mai svelato la vera identità del ‘signor Franco’ e che “nelle varie ricognizioni effettuate presso le procure di Palermo e Caltanissetta non l’ho mai riconosciuto con assoluta certezza“.

L’esponente dei Servizi, che sarebbe stato a conoscenza dei rapporti tra Vito Ciancimino e boss come Bernardo Provenzano, sarebbe stato più volte negli anni contattato da Massimo Ciancimino. “Avevo uno o due numeri del suo cellulare registrati sulla sim. Quando mio padre era vivo era lui a darmi il numero e io lo chiamavo da diverse cabine telefoniche. Il prefisso era di Roma. Poi, dopo la morte di mio padre, – ha aggiunto – io usavo l’utenza intestata a un mio amico“. 

La Trattativa Stato Mafia iniziò all’indomani delle stragi del ’92.

Il generale dei Carabinieri Mori e il colonnello Giuseppe De Donno, dopo la strage di Capaci, “furono messi a conoscenza del fatto che mio padre avesse un rapporto privilegiato di contatto con Bernardo Provenzano. Me lo disse mio padre“.

Secondo Ciancimino junior i vertici del Ros di allora, Mori e De Donno, avrebbero incontrato il padre Vito Ciancimino per proporre di “avviare un dialogo con Cosa nostra per fare terminare la strategia stragista di Cosa nostra“.

L’ex sindaco, rassicurato dal ‘signor Franco’, accettò di vedere gli ufficiali del Ros: “Mio padre non sembrò stupito da questa richiesta, mi disse solo che voleva incontrare prima il signor Franco per avere più notizie e quell’incontro c’è stato“.

Due gli incontri con solo De Donno a Roma e l’ufficiale “mi riferì -prosegue-  che l’incontro era andato bene, che mio padre era stato possibilista circa l’avvio di un dialogo. E papà stesso disse che fu autorizzato da Provenzano ad andare avanti in questo incontro. Successivamente, prima del 29 giugno, per due volte da Vito Ciancimino si recò anche Mori, in abiti civili; una terza volta poco prima della strage Borsellino. La condizione posta da Mori era una resa incondizionata dei latitanti, incambio di benefici per i familiari: “Mio padre la definì inaccettabile e irrealizzabile.

Inoltre, “Papà non voleva incontrare Riina“. Il tramite tra questi e l’ex sindaco mafioso sarebbe stato il medico personale del padrino, Antonino Cinà, al quale fu consegnata da Vito Ciancimino un busta.

Poi un “un plico chiuso, due fogli, uno di accompagnamento e uno più grande fu fatto avere da Cinà a mio padre”, il ‘papello’, “e mio padre lo lesse e disse: ‘Il solito testa di minchia, con Riina non si può ragionare, ha fatto delle controproposte inaccettabili, con questo soggetto non si può avviare nessun dialogo“.

Tra le richieste la revisione della sentenza del maxiprocesso, l’annullamento del 41 bis, la revisione della legge Rognoni-La Torre, la riforma della legge sui pentiti, i domiciliari dopo i 70 anni di età, la chiusura delle ‘supercarceri’.

Il 19 luglio 1992 Borsellino saltava in aria con la scorta in via D’Amelio.