Anche gli avvocati, liberi professionisti in crisi

Anche gli avvocati, liberi professionisti in crisi

CATANIA –Un libero professionista in Sicilia guadagna uno stipendio annuo pari ad un terzo di un collega stabile in Lombardia o in Trentino”. Le parole dell’avvocato Nunzio Luciano, neo vice presidente vicario dell’Adepp, l’associazione degli Enti Previdenziali Privati, riportate ieri sul nostro quotidiano, la dicono lunga sulla situazione in cui versano i liberi professionisti nella meravigliosa quanto sfortunata isola del Mediterraneo.

Siamo andati pertanto ad approfondire lo stato economico in cui versano, in particolare, gli avvocati siciliani intervistando Maurizio Magnano di San Lio, presidente dell’ordine degli avvocati di Catania. “Purtroppo – afferma – è inevitabile che il nostro reddito sia inferiore rispetto al resto d’Italia. Questa situazione riflette semplicemente il contesto socio economico in cui viviamo”.

Un contesto che conferma il secolare gap tra un Nord prospero e un Sud che continua ad arrancare.

A questo si aggiunge il problema che “l’aspetto previdenziale per noi è importante ed è basato sulle nostre sole risorse ottenute tramite versamenti alla cassa forense. I colleghi che raggiungono la pensione per limite di età si trovano molto spesso a non poter abbandonare la professione. Ci sono sicuramente coloro che continuano per passione e questo gli fa onore, ma la maggior parte di noi prosegue a lavorare perché i nostri riconoscimenti pensionistici non sono all’altezza dell’attività forense”.

E cosa dire dei giovani avvocati o di coloro che ambiscono a diventarlo?

In realtà sono preoccupato come padre e come avvocato. I giovani hanno molte difficoltà, si sa. L’inserimento nel mondo del lavoro è veramente complicato ovunque, ma per gli avvocati non va sicuramente meglio. Si consideri che Catania conta quasi 5.300 avvocati, più gli scritti nel registro dei praticanti”.

Numeri da capogiro che determinano una vera e propria lotta per la sopravvivenza. Ma il presidente dell’ordine tiene a porre l’accento su un altro aspetto: “Per i giovani ci sono evidenti difficoltà dovute anche alla riforma della legge professionale che prevede l’obbligo di iscrizione alla cassa di previdenza forense. Questo è sicuramente servito per dare giusto riconoscimento ai giovani che iniziano l’attività, ma in questa complessa realtà lavorativa, dover affrontare delle spese come quella dell’iscrizione e dei contributi previdenziali incide notevolmente sulla loro vita economica”.

Per tanti anni l’iscrizione alla facoltà di giurisprudenza e al registro dei praticanti è stata una “scelta residuale. Il principio era: intanto mi iscrivo, poi vediamo. Oggi, invece, non può esserci più una scelta di questo tipo. Difatti la mancanza di concorsi pubblici e di sbocchi lavorativi necessita di una scelta ponderata e oculata”.

Infine, tra i liberi professionisti in crisi emergono le donne, il tanto vituperato “sesso debole” che, benché anche nell’attività forense cresca in maniera esponenziale, rimane purtroppo penalizzato dal sistema: “Secondo dati forniti dalla cassa forense del 2013, il reddito medio annuo degli avvocati è di 38.627 euro. Le donne percepiscono un reddito di 22.247, mentre quello degli uomini è di 53.389. Una disparità enorme che mostra, purtroppo, una situazione ingiusta che andrebbe superata”.

Un cambiamento, in tal senso, appare pertanto sempre più urgente se si pensa che solo a Catania, per esempio, il 67% degli iscritti all’ordine fanno parte del “gentil sesso”. Una crescita numerica che, a conti fatti, non andrebbe più ignorata.