Cambio di sesso, Cassazione: “Non più necessario l’intervento chirurgico”

Cambio di sesso, Cassazione: “Non più necessario l’intervento chirurgico”

Per chi intende rettificare anagraficamente il proprio sesso, non sarà più necessario l’intervento chirurgico di modifica dei caratteri sessuali primari. Lo sancisce la Corte di Cassazione, con sentenza n. 15138/2015 che rappresenta una fondamentale novità nel panorama giurisprudenziale, poiché fino ad oggi i Tribunali di merito avevano prevalentemente dato una interpretazione restrittiva della legge n. 164 del 1982, che ha autorizzato il cambiamento, definito “rettificazione”, del sesso anagrafico. L’articolo 1 di tale testo legislativo così stabilisce: “La rettificazione si fa in forza di sentenza del Tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell’atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei caratteri sessuali”. E così accadeva che i Tribunali concedevano la desiderata rettificazione solo se il richiedente avesse dimostrato l’intervenuta modificazione dei caratteri sessuali primari, mediante l’intervento medico chirurgico di ablazione e ricostruzione degli organi genitali e riproduttivi.

I giudici in sostanza fino a quel momento davano peso alla distinzione propria della biologia tra caratteri sessuali primari e secondari, costituiti i primi dagli organi genitali e riproduttivi, corrispondenti i secondi con altre caratteristiche psicofisiche, come il timbro di voce, la conformazione fisica del corpo, gli atteggiamenti esteriori del soggetto. Gli Ermellini, così, con la sentenza depositata il 20 luglio 2015, pronuncia a tratti sentimentale, danno importanza ad aspetti diversi dai caratteri sessuali primari, sottolineando che l’incontro tra corpo e psiche può realizzarsi indipendentemente dall’intervento chirurgico di demolizione degli organi genitali.

Essi esaminano il caso di un soggetto che nel 1999 aveva ottenuto dal Tribunale di Piacenza autorizzazione al trattamento chirurgico per la modificazione definitiva dei propri caratteri sessuali primari, al fine di ottenere la rettifica dei dati anagrafici. Dopo dieci anni il richiedente chiedeva la summenzionata rettifica senza, tuttavia, sottoporsi all’intervento chirurgico, deducendo il timore per le eventuali complicanze post-operatorie ed evidenziando che durante i dieci anni passati aveva raggiunto un rapporto armonico con il proprio corpo, un equilibrio psicofisico che gli consentiva di sentirsi donna a tutti gli effetti. Veniva quindi proposto appello dinanzi alla Corte di Appello di Bologna, la quale confermava la decisione di primo grado. Avverso tale pronuncia il ricorrente adiva la Corte di Cassazione. Quest’ultima riconduce la questione all’intima ed inviolabile sfera dei diritti della personalità, evidenziando che la coincidenza tra il corpo e la psiche è prima di tutto il risultato di un percorso psicologico e medico, quest’ultimo fatto di terapie ormonali e chirurgia estetica, che non deve necessariamente essere realizzato mediante un intervento di demolizione chirurgica. Così la Cassazione, anche alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata e conforme alla giurisprudenza della CEDU degli articoli 1 della legge 164 del 1982 e del successivo articolo 3 della medesima legge, punta l’accento sulla serietà ed univocità del percorso scelto dall’individuo, sulla consapevolezza di questo di essere e sentirsi donna a tutti gli effetti, circostanza da accertarsi giudizialmente. La Suprema Corte conclude riconoscendo che il percorso di mutamento dell’identità sessuale, in quanto assolutamente soggettivo ed individuale, si caratterizza per un elevato tasso di complessità e varietà, completandosi allorquando, sulla base di rigorosi accertamenti medici, si possa ritenere irreversibile tale scelta personale.

Né l’interesse pubblico alla esatta identificazione dei generi sessuali può mai imporre il sacrificio dell’inviolabile diritto alla conservazione della propria integrità psicofisica. In questo modo la Cassazione riconosce i diritti delle persone transessuali a scegliere il percorso medico e psicologico più adeguato al loro personale modo di sentire e vivere il mutamento dell’identità sessuale. Sentirsi davvero donna seppure in corpo maschile, o viceversa uomo in un corpo femminile, è sufficiente, in presenza di una forte consapevolezza razionale e sentimentale della propria nuova sessualità, per ordinare agli ufficiali di stato civile la rettificazione anagrafica.

Avv. Elena Cassella del Foro di Catania