Europei 2024, la Svizzera batte l’Italia: l’intervista del dopo partita al prof. Alfio Cazzetta

Europei 2024, la Svizzera batte l’Italia: l’intervista del dopo partita al prof. Alfio Cazzetta

Infranto – per la Nazionale – il “sogno” chiamato “Europei 2024“. La sconfitta di ieri dell’Italia contro la Svizzera è stata come “un colpo al cuore” per tutti gli azzurri che ci hanno sperato, fino alla fine.

Quel che resta, l’indomani, è solo tanta amarezza e consapevolezza di aver potuto fare molto di più. Ma la realtà dei fatti non si può cambiare.

In esclusiva per NewSicilia, l’intervista post partita del Prof. Alfio Cazzetta, esperto tecnico preparatore atletico.



Intervista del dopo partita

Nell’intervista che le è stata fatta il 3 giugno scorso sul nostro giornale, lei aveva espresso perplessità sulla squadra azzurra di calcio. Cosa ne pensa dell’eliminazione agli ottavi di finale nell’ultima partita giocata?

  • Mi dispiace mettere il dito sulla piaga, ma io ero convinto che la fortuna o il bravo portiere non possono sempre salvare immeritatamente la nostra squadra di calcio.

Lei pensa che la colpa sia della formazione scesa in campo?

  • Il discorso è complicato e l’ho accennato nella sua scorsa intervista, ma non fa male riprendere. Io non sono un tecnico di calcio, sono un metodologo, pertanto non mi sento di affrontare argomenti ci cui non sono esperto. Per prima cosa, io escluderei l’operato di Spalletti. A lui è stato affidato un numero di atleti che dovrebbero essere i migliori del lotto. Ma che cosa poteva inventarsi l’allenatore con un gruppo di atleti “spenti” e acciaccati da un campionato duro e lungo. Questi erano gli atleti e su questi egli ha lavorato. È difficile cogliere il male, perché non si tratta di uno solo.

Nel dopo partita di ieri, su RAI 1, in genere si dava la colpa alla preparazione che l’équipe tecnica ha fatto fare agli atleti selezionati.

  • Io non so cosa hanno fatto, come la maggior parte delle persone, comunque sono dell’avviso che ognuno deve fare il proprio mestiere. Ho visto una parte di quel dibattito e poi ho cambiato canale perché, come sempre, sarebbe stato meglio affidare la formazione e l’allenamento agli pseudo esperti e giornalisti che finalmente si sono accorti che il calcio italiano, non quello del campionato di serie A, è da anni che è in malessere. Questi esperti come mai se ne sono accorti solo ieri? Se quei due pali si fossero trasformati il gol, i commenti di ieri sera sarebbero stati indirizzati ad elogi, come è successo altre volte. Agli “esperti”, vorrei far notare che la preparazione tecnico-tattica e quella fisica non si costruiscono in pochi giorni. La preparazione fisica, lo abbiamo visto ieri (ma anche molto tempo fa) si è mostrata deficitaria, ma l’origine parte dalla preparazione che ogni atleta ha fatto nella propria società, perché è lì che bisogna fare riferimento e comunque non credo fosse carente (dopo un lungo campionato), piuttosto, sbagliata, come ho avuto modo di fare riferimento nell’intervista del 3 giugno scorso. I giocatori erano stanchi e demotivati. La colpa di ciò non deve essere addebitata a Spalletti che l’impietosa telecamera ne coglieva la rassegnazione sul suo viso. È tutto il complesso che bisogna mettere sotto accusa, dalla dirigenza nazionale, ai dirigenti delle società, alla dirigenza tecnica. Ieri quel riscaldamento che abbiamo visto, da profano del calcio, spero che sia stato l’epilogo di un riscaldamento più consistente che ogni giocatore deve fare prima di una competizione.

No, credo che sia proprio tutto il riscaldamento attivo, dopo eventuali massaggi.

  • Se è così, sarebbe opportuno che i tecnici diano una bella ripassata a tutto l’argomento, perché ciò che abbiamo visto dovrebbe essere la rifinitura di un lavoro più complesso e non quegli esercizi che abbiamo visto fare anche nelle scuole calcio. E poi, gli esperti, specie i giornalisti, non hanno colto che, durante questa fase, gli esercizi venivano eseguiti passivamente; come dire: lo dobbiamo fare e lo facciamo, senza trasporto, senza concentrazione, senza quel “calore” che ogni atleta deve mettere, prima di un impegno importante. 

Cosa si dovrebbe fare, secondo lei, per ricucire lo strappo che si è evidenziato?

  • Il male parte dalla base e cioè dall’attività giovanile. Lo abbiamo accennato nella passata intervista, quando ho esposto il piano costruttivo del prof. Failla: allargare la conoscenza, abbandonare l’ignoranza che serpeggia ampiamente nel settore. Partendo da ciò, umilmente, si potrebbe arrivare in una decina di anni, o poco meno, a formare una bella base di atleti e tecnici preparati. Vi ricordate le interviste effettuate ai ciclisti di sessanta anni fa? “Ciao mamma, ciao papà, sono contento di aver vinto”. Penso che in Italia ci vorrebbero almeno un migliaio di “Failla” per risollevare, in alcuni anni, la qualità tecnica e fisica dei giovani calciatori. Oggi il ciclismo parla con cultura e cognizione di causa, invece nel calcio tutti parlano di 4-4-2, di 4-3-3 e così via senza rendersi conto ciò che essi rappresentano e, cosa più importante, cosa e come fare per poter eseguire fisicamente quanto programmato: dalla mente, all’azione. Il percorso è lungo ma, nell’immediato, in attesa di nuove leve preparate meglio, si potrebbe cominciare con il “materiale” che viene affidato a Spalletti, ma con una maggiore collaborazione fra società e nazionale, cosa che da profano credo non sia realmente efficace. I giocatori sono delle società e vengono “prestati” alla nazionale, al bisogno; credo non si sia un rapporto molto attivo, anzi. Forse dico una castroneria, ma sapendo in quale periodo la nazionale dovrà affrontare impegni importanti, perché non anticipare la chiusura del campionato, lasciando più tempo agli atleti interessati per recuperare (non caricare ulteriormente) e preparare la squadra, sia come gruppo che individualmente?!

Ma essendo un gioco di squadra, non è un errore fare riferimento a lavori individuali?

  • No! La preparazione fisica è un problema individuale, dove ogni atleta dovrebbe essere curato indipendentemente dal collettivo. Ad ognuno il suo come tipologia e come quantità. È gente che guadagna in modo offensivo per la gente normale, pertanto un poco di lavoro fatto bene e personalizzato sarebbe non solo opportuno, ma fondamentale. Anche il lavoro tecnico dovrebbe essere effettuato in modo individualizzato e seguito con attenzione dal tecnico e non come “routine” e magari lasciando ampi spazi per esprimersi in azioni tecniche individuali, senza intervenire. Solo il lavoro tattico è fondamentalmente di gruppo. Con i guadagni esosi che prendono tutti penso che ciò possa essere fatto senza troppi problemi. Oppure è proprio questo enorme denaro la causa di tutto? In ultima analisi, bisogna incrementare la partecipazione dei giovani italiani alle competizioni, facendo crescere di numero e di qualità l’enorme serbatoio di cui dispone il settore del calcio giovanile.

A cura di Alfio Cazzetta

Fonte foto: Ansa.it