La libertà di riunione è una libertà individuale ad esercizio collettivo ed è garantita ai soli cittadini dall’art. 17 Cost.
Si tratta di una libertà strumentale collettiva a tutela della “socialità della persona” ed al diritto di scambiarsi conoscenze ed opinioni e si ricollega all’art. 2 Cost. perché, anche se si pone come “libertà del singolo”, non può essere esercitata individualmente, ma congiuntamente ad altri soggetti. Con libertà di riunione s’intende la compresenza volontaria di più persone nello stesso luogo, temporaneamente e volontariamente, in seguito a preventivo accordo o su invito dei promotori, al fine di soddisfare uno specifico interesse comune.
Caratteristica della riunione, dunque, è che, al momento della compresenza fisica, ciascun partecipante soddisfa il proprio interesse singolarmente, senza che alcun vincolo lo leghi ad altri convenuti, o anche per il solo fatto di partecipare alla riunione.
L’esercizio del diritto di riunione da parte del cittadino è sottoposto a limitazioni sia da parte delle Costituzione che dalla legge.
Vincoli oggettivi: Tutte le riunioni devono svolgersi in forma pacifica e senza armi.
Vincoli soggettivi: L’ordinamento non ammette che il diritto di riunione venga esercitato da persone sottoposte a restrizioni legate alla capacità giuridica o a c.d. “soggezioni speciali”.
L’esercizio di detto fondamentale diritto costituzionalmente garantito, si riverbera necessariamente sul concetto di “ordine pubblico”. Ed invero, il preavviso di cui all’art. 17 Cost, III comma, ha una duplice ratio:
- da un lato funge da aiuto strumentale alla funzione di vigilanza e di buona gestione dell’ordine pubblico della polizia (non a caso la sua violazione è penalmente sanzionata);
- dall’altro con la comunicazione della riunione i promotori ottengono la precedenza sulla scelta del luogo, rispetto a riunioni concorrenti.
La disposizione che precede si ricollega direttamente al disposto dell’art 18 del reg. TULPS il quale, stabilisce che “I promotori di una riunione in luogo pubblico o aperto al pubblico devono darne avviso, almeno tre giorni prima, al Questore..” “ il preavviso è necessario per motivi di sicurezza”.
Proprio il diritto in esame, è stato in questi ultimi giorni messo in discussione alla luce di un particolare evento che ha ingenerato un polverone mediatico di non poca rilevanza: si tratta del rave- party organizzato a Modena lo scorso 31.10.2022 ove si erano radunate circa 3.500 persone e che, seppur non abbia veicolato scontri o incidenti, si è reso propedeutico alla introduzione di una nuova fattispecie incriminatrice, l’art 434 bis del Codice Penale. La norma, rubricata “Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica” prevede che l’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui (pubblici o privati), commessa da un numero superiore a 50 persone allo scopo di “organizzare un raduno”, sia punita con la reclusione da 3 a 6 anni e con la multa da 1.000 a 10.000 euro (pena diminuita per i partecipanti), se vi possono essere dei pericoli l’ordine pubblico; l’incolumità pubblica o la salute pubblica.
La norma è collocata nel codice penale all’interno del titolo dedicato ai “Reati contro l’incolumità pubblica”, in particolare nel capo “Dei delitti di comune pericolo mediante violenza”, trattandosi dunque di un reato di pericolo ove dunque non è necessario che la condotta abbia comportato una lesione reale del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice ma è sufficiente che questo venga messo a rischio dalla condotta dell’agente, con buona pace del principio di offensività.
Sin da subito, è risultata opinabile la criminalizzazione di un fenomeno culturale come i rave-party (ridotto a “raduni di sballati”), evidenziando come il nuovo reato si presti ad applicazioni in ben altri campi. In particolare il rischio potrebbe essere quello di un suo uso per l’ulteriore criminalizzazione del dissenso. Il decreto anti-rave, in sostanza, si spingerebbe ben oltre la criminalizzazione delle feste tekno, attaccando la libertà di manifestare, i comportamenti giovanili e le forme di protesta e autorganizzazione.
Invero, nella stessa definizione di “terreni o edifici altrui, pubblici o privati” può ricadere di tutto, tra cui le università, i luoghi di lavoro o le piazze e, ciò che preoccupa, è altresì l’espressione “quando dallo stesso può derivare un pericolo”.
Si ritiene pericoloso ciò che ancora attende di essere dimostrato come pericoloso. Un passaggio sufficientemente vago per ricadere nell’arbitrio più assoluto da parte dei Prefetti.
Nel nostro ordinamento non può esserci un reato se non è chiaro quale sia il bene giuridico da tutelare. Alla libertà di riunione del cittadino – art. 17 della Costituzione – non può essere opposta un generalizzato limite dell’ordine pubblico. Non è un caso che le riunioni in luogo pubblico o aperto al pubblico non richiedano autorizzazione, ma solo preavviso all’autorità competente, la quale può vietarle solo “per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”.
Si badi, comprovati, non supposti!
Se, dunque da un lato molti dubbi sono stati sollevati circa la costituzionalità della nuova fattispecie incriminatrice, dall’altro pacatamente rassicurante si è posta la risposta del Ministero dell’Interno il quale in una nota precisa che: la norma non lede in alcun modo il diritto di espressione e la libertà di manifestazione sanciti dalla Costituzione e difesi dalle Istituzioni; già presente in altri Paesi, la norma voluta per contrastare i raduni illegali, i cosiddetti rave party, offre nuovi e più efficaci strumenti grazie ai quali si potrà intervenire tempestivamente per porre un freno ad un fenomeno che, ha spiegato il Ministro, accennando alla recente cronaca modenese, oltre ai numerosi profili di criticità, risulta particolarmente dispendioso per lo Stato, e dunque per la collettività, poiché rende necessario l’impiego di ingenti risorse e il coinvolgimento di numerosi operatori delle Forze dell’ordine.
Alla luce di ciò, l’ambiguità da chiarire è se la norma sia applicabile anche fuori dagli specifici casi dei rave- party limitando così il diritto di riunione, ponendosi, dunque, come effettiva lesione del diritto di manifestare liberamente – riuniti – il proprio pensiero.
Ai posteri l’ardua sentenza, ovvero non appena la norma dovrà essere applicata in concreto.