SICILIA – “Noi lavoratori siamo filtri umani, quando le nostre tute vengono lavate esce pulviscolo metallico. Lavoriamo in una zona con un alto livello di inquinamento, quelle particelle metalliche le respiriamo” a parlare ai nostri microfoni è un dipendente della Lukoil, che preferisce mantenere l’anonimato.
Lavora nella zona industriale da circa 25 anni e afferma: “Quando ero piccolo con tutte queste luci mi sentivo a New York, soltanto crescendo ho capito quanto queste strutture inquinassero“.
Il polo petrolchimico siracusano è uno dei più grandi in Europa, comprende l’area industrializzata della Sicilia orientale e interessa i comuni di Augusta, Priolo, Melilli e Siracusa.
Questo polo industriale è la principale fonte di occupazione della zona, il 51% del reddito di Siracusa e provincia è prodotto al suo interno. Inoltre, genera l’8% del PIL della Sicilia, che è una tra le regioni con i più alti tassi di disoccupazione.
Dati, questi, che evidenziano l’importanza della realtà industriale per il sostegno economico delle famiglie, ma tutto ciò si scontra con un’altra faccia della medaglia, le ripercussioni sull’ambientale e sulla salute dei cittadini.
Nella zona ci sono tre raffinerie, una è l’ex Esso di proprietà Algerina, le altre due sono l’ex Erg e l’ex Agip adesso entrambe di proprietà di una società italiana che si chiama Isab ma è controllata completamente dai russi di Lukoil.
La maggior parte del materiale grezzo che viene lavorato all’interno delle raffinerie arriva dalla Russia. Ma a causa della guerra i leader dell’Unione europea hanno trovato un accordo per mettere al bando le importazioni di petrolio dalla Russia, in modo da privare il regime del presidente Vladimir Putin di una fonte di entrate cruciale anche per il finanziamento della guerra in Ucraina.
Questa decisione non ha ripercussioni soltanto sulla Russia, ma su tutti i lavoratori del polo petrolchimico siracusano e di conseguenza sulle famiglie della zona, che nella maggior parte dei casi hanno a disposizione un solo reddito.
“Tutti i lavoratori sono in tensione, non c‘è chiarezza rispetto alla situazione licenziamenti. Le informazioni che abbiamo arrivano dagli organi nazionali, mentre dall‘azienda non trapela nulla” continua l’intervistato.
“Ad essere maggiormente preoccupati sono i dipendenti con famiglie. Gli impianti sono regolarmente in marcia, ma non sappiamo cosa ci aspetta nel futuro prossimo“.
Questa immensa montagna di industrie genera opportunità lavorative per i cittadini della zona, offre il diritto al lavoro ma quello che viene messo in discussione è il diritto alla vita.
Oggi vengono messi in crisi entrambi i diritti.
“Non mi identifico nel lavoro che faccio – afferma l’operaio -, ma questo e ciò che il territorio offre. All’interno dell’azienda tra di noi capita di parlare delle possibili alternative economiche per la zona, ma spesso le discussioni muoiono lì e lasciano il tempo che trovano” conclude.