CATANIA – Un viaggio lontano da casa, il trasferimento, la scoperta dell’indipendenza, poi il ritorno al nido: la Generazione boomerang è caratterizzata da questi pochi step che la rendono la rosa più nutrita dei giovani figli di questa nostra epoca.
Tra i “boomerang kids” sono compresi i giovani tra i 25 e i 34 anni che tornano a casa dopo aver ottenuto un breve periodo di autonomia economica fuori dalle mura domestiche. Secondo uno studio sviluppato da Pew Research, tra le persone di questa fascia d’età, solo il 12% vive attualmente con i genitori, ma un altro 17% afferma di essere tornato temporaneamente a casa negli ultimi anni a causa delle condizioni economiche. Complessivamente, il 39% di tutti gli adulti tra i 18 ei 34 anni afferma di vivere con i genitori ora o di esservi tornati temporaneamente negli ultimi anni.
Un’analisi approfondita
Per parlare dell’aspetto psicologico legato al caso della generazione boomerang, lo psicologo catanese Marco Cappuccio è intervenuto ai microfoni di NewSicilia.it, pronto ad analizzarne i segreti: “La questione può collegarsi in linea generale al cambiamento delle prospettive di sviluppo dell’autonomia, sia in termini psicosociali che in termini concreti, dei giovani nelle nostre società occidentali caratterizzate ormai, a differenza dal passato, da alcuni connotati fondamentali: primo tra questi la precarizzazione crescente dei rapporti di lavoro che quindi rende differente, più complicato e meno lineare che in passato, il processo di autonomizzazione dalla famiglia d’origine con l’uscita di casa”.
“Il tutto è strettamente collegato a opportunità lavorative stabili e continuative, dove la stabilità del lavoro è molto meno presente che in passato. Oltre questo, l’altro dato è quello dell’ampliarsi rispetto al passato delle opportunità di formazione, sia in termini di istruzione che di formazione professionale, di un ampliamento del ventaglio di opportunità e degli orizzonti geografici in cui questi processi si possono sviluppare”, prosegue.
Continua: “Se prima i percorsi di istruzione e formazione professionale erano molto più concentrati sul territorio di origine o comunque sugli ambiti geografici vicini al luogo d’origine del giovane, ora le opportunità sono molto più ampie e si sviluppano non più soltanto sull’orizzonte regionale o nazionale, ma addirittura quantomeno europeo, per cui è molto più facile che nei percorsi di formazione di questo tipo ci sia sempre più frequentemente uno spostamento territoriale più vasto. Ciò comporta una mobilità geografica molto più spaziosa, ma al contempo una mobilità e un’instabilità delle collocazioni geografiche, delle situazioni specifiche di lavoro con un conseguente sviluppo dei percorsi di autonomia dalla famiglia di origine meno lineare che in passato”.
“Fino a qualche decennio fa – spiega Cappuccio – il percorso era molto più predefinito: a un certo punto e a una certa età, dopo aver più o meno ultimato il proprio percorso di studi, si passava in termini molto più definiti e precisi allo sviluppo della propria autonomia lavorativa e quindi economica con posti di lavoro e possibilità di collocazione lavorativa già prevedibili e stabili nel tempo. La precarizzazione del lavoro comporta che la possibilità di star fuori di casa e di vivere autonomamente possa essere presente in certi momenti, ma possa essere soggetta appunto a momenti di regressione che possono comportare di conseguenza alla necessità del ritorno alla famiglia d’origine dovuta all’impossibilità di mantenere una propria autonomia economica”.
E ancora: “Ciò per un giovane ha inevitabilmente dei riflessi sulla possibilità di sviluppo coerente e lineare della propria autonomia psicosociale proprio perché in questo modo l’adolescenza vista come periodo di vita di preparazione al salto definitivo verso l’autonomizzazione è uno spazio di tempo che può prolungarsi anche nel tempo fino a trent’anni perché soggetta a queste fluttuazioni e a questa possibilità di ritorno indietro rispetto ai risultati conseguiti. A questo segue una serie di conseguenze di instabilità e di variabilità dei legami affettivi, sia esterni alla famiglia che interni”.
” Tutto questo – conclude – rende più difficile il distacco che ha come fine lo sviluppo di un progetto di vita perché invece spesso e volentieri questo istinto sarà influenzato e condizionato (e anche ostacolato) da difficoltà concrete di mantenimento economico fuori dalla famiglia di origine”.
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