ITALIA – Sono passati trent’anni dall’inizio di quell’inchiesta che avrebbe, di lì a pochi mesi, distrutto il sistema politico italiano della Prima Repubblica portando alla luce episodi di corruzione tra gli alti vertici dei maggiori partiti e i grandi imprenditori dell’epoca.
Tutto comincia il 17 febbraio 1992, quando nel suo ufficio in via Marostica 8 a Milano, al Pio Albergo Trivulzio, Mario Chiesa viene arrestato con l’accusa di concussione per una tangente da 14 milioni di lire che gli viene consegnata dal giovane imprenditore Luca Magni. Sono passate da poco le 17 quando si concretizza l’operazione, curata dall’allora sostituto procuratore Antonio Di Pietro e dal capitano dei carabinieri Roberto Zuliani. Parte così Mani Pulite, la più mediatica fra le inchieste giudiziarie italiane.
Il sistema crolla sotto i colpi degli avvisi di garanzia in un contesto complesso in cui la mafia apre la sua stagione stragista.
La Procura di Milano non risparmia nessuno. Sul taccuino di Di Pietro finiscono i maggiori esponenti di imprese e partiti tra cui i vertici di Psi e Dc. Ma è nel 1993 che Tangentopoli raggiunge la sua espansione massima colpendo davvero tutti gli attori della politica e dell’imprenditoria italiana. Sotto la lente di ingrandimento del pool composto da Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo ci sono Fiat, Eni, Enel, Olivetti, Montedison e Fininvest.
Il nome più importante che cade sotto i colpi dell’inchiesta è quello del segretario nazionale del Partito Socialista Italiano, Bettino Craxi. Indimenticabile il suo discorso pronunciato alla Camera in cui denuncia “un gioco al massacro in piena regola“. Il 29 gennaio 1993 viene perquisita la segreteria amministrativa nazionale del Psi, in via Tomacelli a Roma, un atto che Craxi definirà un vero e proprio golpe. Per il leader del garofano è la fine della carriera politica.
Di lì a poco toccherà a Giorgio La Malfa che lascerà la segreteria nazionale del Partito Repubblicano. Poi è la volta di Ciriaco De Mita, già segretario nazionale della Dc, a lasciare la presidenza della Commissione bicamerale per le riforme, in seguito all’inchiesta scandalo sulla ricostruzione dell’Irpinia che coinvolge il fratello Michele. Poche settimane dopo è Renato Altissimo a dimettersi dalla segreteria del Partito Liberale. L’ultimo a lasciare la guida del suo partito è Carlo Vizzini, segretario del Psdi.
I partiti storici della Repubblica Italiana si sciolgono e inizia una nuova stagione politica.
Nel frattempo, le indagini si allargano oltre i confini della politica e nell’autunno del 1993 viene arrestato il giudice milanese Diego Curtò. Qualche mese dopo una nuova ondata di arresti: il 21 aprile 1994, 80 uomini della Guardia di finanza e 300 personalità dell’industria sono accusate di corruzione. A giugno si scopre che nell’inchiesta delle cosiddette ‘Fiamme sporche‘ è coinvolta anche la Fininvest.
A novembre gli inquirenti trovano una prova importante perquisendo l’abitazione di uno dei legali di Fininvest ed ex ufficiale della Finanza, Massimo Maria Berruti: si tratta della prova, secondo il pool, che Berlusconi avrebbe ordinato di inquinare le prove sulla corruzione Fininvest. Il 21 novembre del 1994, su ordine del procuratore capo Francesco Saverio Borrelli, i carabinieri notificano a Berlusconi l’invito a comparire e gli comunicano due dei tre capi d’imputazione a lui attribuiti.
La notizia viene rivelata in esclusiva l’indomani dal Corriere della Sera e il Cavaliere accusa i magistrati di aver violato il segreto istruttorio.
Il 23 novembre, l’assicuratore Giancarlo Gorrini denuncia Di Pietro. Lo avrebbe ricattato e avrebbe preteso una lunga lista di favori in cambio. Per Di Pietro tira una brutta aria.
Messo all’angolo dall’inchiesta condotta su di lui, Di Pietro, che aveva perso anche il favore del popolo, a dicembre, dopo l’ultima requisitoria per il processo Enimont, si toglie la toga e si dimette dalla magistratura con una lettera accorata in cui scrive: “Me ne vado in punta di piedi con la morte nel cuore“.
Con le sue dimissioni arriva la fine di Mani Pulite.
Oggi Di Pietro, dopo un’esperienza politica con la sua Italia dei Valori, fa l’avvocato. Gherardo Colombo è in pensione, così come Piercamillo Davigo, ex componente del Csm, indagato a Brescia per rivelazione di segreto d’ufficio per aver divulgato verbali coperti da segreto nel caso “Loggia Ungheria”.
E il destino ha voluto che la prima udienza per Davigo sarà proprio oggi, nel trentesimo anniversario dall’arresto di Mario Chiesa che ha segnato l’inizio della fine della Prima Repubblica.