Kamala Harris ha appena segnato la storia degli Stati Uniti, diventando la prima donna vicepresidente in seguito alla vittoria del Partito Democratico, rappresentato da Joe Biden.
Un trionfo che arriva al culmine di una lunga attesa e di una complessa campagna elettorale, basata su tematiche di rilievo, dal Coronavirus alle questioni razziali, che si è costruita anche grazie ai contributi della senatrice Harris.
Se fino a poche settimane fa, quando il presidente eletto Biden l’ha scelta come vice, era un nome quasi sconosciuto al pubblico internazionale, oggi Kamala Harris si appresta a ricoprire una delle cariche più alte negli Usa e a mettere in campo anni di battaglie contro le ingiustizie sociali e una considerevole esperienza politica.
Chi è Kamala Harris?
Intelligente, energica e carismatica. Una donna che non si è mai risparmiata e che con i suoi ideali ha attirato l’attenzione dell’elettorato statunitense, ottenendo perfino il sostegno di molti vip statunitensi e le lodi di tanti colleghi e colleghe (non ultime, le ex First Ladies Hillary Clinton e Michelle Obama).
Nata a Oakland (California) il 20 ottobre 1964, Kamala Devi Harris è una donna dalle origini multietniche. Una madre indo-americana, un padre di origine giamaicana e un marito, l’avvocato Douglas Emhoff, ebreo: la nuova vicepresidente ha imparato a definirsi semplicemente “americana” ma anche a “prendere” qualcosa da ognuna delle culture che ha plasmato la sua personalità privata e politica.
La prima ispirazione è stata senza dubbio la madre, attivista e oncologa impegnata nella ricerca contro il tumore al seno. Da lei, con ogni probabilità, la senatrice ha ereditato la voglia di cambiare le cose e di agire invece che stare a guardare. E l’azione, per Kamala Harris, è iniziata presto: già negli anni Ottanta durante gli studi alla Howard University (Washington), dove ha ottenuto le specializzazioni in Scienze Politiche ed Economia, manifestava contro l’apartheid e partecipava attivamente alla vita sociale.
La carriera politica, dai “primi passi” alla campagna elettorale
Dopo una nuova laurea in Legge all’Hastings College, non c’è voluto molto prima che Kamala Harris si avvicinasse prima alla carriera giuridica e poi a quella politica. Nel 1990 era già Viceprocuratrice distrettuale della Contea di Alameda. Nel 2003 è diventata Procuratrice distrettuale a San Francisco. In quegli anni seguiva già casi di violenza sessuale e domestica, ma iniziava a dare rilievo anche a tematiche come l’ambiente, la criminalità organizzata e la dispersione scolastica nelle aree disagiate.
Nel 2010 e nuovamente nel 2014, è stata la Procuratrice generale della California (prima donna di origini asio-americane ad aver ottenuto tale carica). Il 2016 è l’anno della candidatura alle elezioni per il Senato e vince.
Nel 2020, dopo svariati incarichi in ambito politico, la senatrice Harris viene scelta come vice del candidato democratico Joe Biden in vista delle elezioni presidenziali.
Etichettata come “Phony Kamala“ (Falsa Kamala) dal candidato repubblicano e presidente uscente degli Usa, Donald Trump, la democratica in corsa per la vicepresidenza statunitense non ha mai perso occasione di mantenere un profilo distinto ma non senza replicare agli insulti rivolti dagli avversari. “Non potrebbe mai diventare la prima donna presidente. Non potrebbe mai. Sarebbe un insulto al nostro Paese”: queste alcune delle parole di Trump contro la senatrice. Attacchi, condotti a suon di tweet e dirette televisive, che potrebbero aver giocato un ruolo importante nel viaggio del Partito Democratico statunitense, con la squadra Biden-Harris, a“una vittoria storica“.
Le battaglie e i progetti dopo la vittoria di Biden
Come già anticipato, ambiente e contrasto alle ingiustizie sociali sono le parole chiave del progetto politico di Kamala Harris.
Non si tratta, però, delle uniche lotte portate avanti dalla politica californiana. Cresciuta con il “mito” del Movimento per i diritti civili, sin da piccola la nuova vicepresidente degli Stati Uniti ha deciso di “trascorrere la propria vita sostenendo coloro che non potevano difendersi” (è questa la frase che la stessa Harris utilizza nella propria pagina web personale).
Oltre a essersi espressa contro la pena di morte e le discriminazioni a sfondo sessista e razziale, Kamala Harris ha anche supportato, nel corso della sua carriera, la causa della comunità LGBT+.
Una donna così lontana dalla classe “Wasp”, dalla supremazia bianca di ascendenza anglosassone, sembra senza dubbio una potenziale novità nel variegato scenario statunitense, in questo momento tormentato dalla “divisione” interna e dalle difficoltà. Kamala Harris, con pregi e difetti, in qualità di vicepresidente, giocherà senza dubbio un ruolo fondamentale nel futuro degli Stati Uniti almeno per i prossimi 4 anni, contribuendo così anche a plasmare un nuovo scenario internazionale.
Fonte immagine: Wikimedia Commons