L’ex moglie titolare di un assegno divorzile meramente simbolico non può ricevere la reversibilità dell’ex marito defunto. Secondo la Cassazione, che sul punto si è espressa con sentenza n. 20477/2020, una diversa soluzione assicurerebbe al coniuge divorziato una condizione migliore rispetto a quella di cui godeva quando l’ex coniuge era in vita.
Prima di illustrare la vicenda, si ricorda che l’art. 9 della legge 898/1970 prevede al comma 2 che “in caso di morte dell’ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno di divorzio, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza”.
All’ex coniuge spetta, dunque, la reversibilità in presenza di determinati requisiti.
La vicenda
In primo grado la donna chiedeva e otteneva la condanna dell’INPS a corrisponderle una quota della pensione di reversibilità del proprio defunto coniuge, dal quale era divorziata in forza di una sentenza del Tribunale Superiore della California.
La decisione veniva accolta in secondo grado, dalla Corte d’Appello dell’Aquila. Il Collegio riteneva che , poiché l’appellata si era vista attribuire dal giudice americano, in sede di scioglimento del matrimonio, un sostegno annuale nella misura di un dollaro, questo doveva considerarsi equiparabile all’assegno divorzile previsto dall’art. 5 della legge 898/1970. Ella pertanto diveniva, ex art. 9 della stessa legge, titolare di pensione di reversibilità del defunto marito.
L’INPS proponeva dunque ricorso in Cassazione, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 9 anzidetti e dell’art. 5 della legge n. 263/2005, poiché la Corte ha assimilato il contributo annuale di un euro all’assegno di divorzio. Secondo l’Inps, per ottenere la reversibilità non è sufficiente il riconoscimento di una cifra “simbolica” a titolo di assegno divorzile.
Cassazione: nessuna reversibilità all’ex coniuge titolare di assegno divorzile simbolico
La Suprema Corte accoglie il ricorso con sentenza n. 20477/2020, ritenendo fondato il motivo.
In primo luogo viene ribadito l’art. 9 della legge 898/1970, che riconosce all’ex coniuge il diritto di ricevere la pensione di reversibilità in presenza di determinati presupposti (vedi sopra). In secondo luogo, viene ricordata la giurisprudenza passata della stessa Corte di legittimità, secondo cui il riconoscimento della pensione di reversibilità prescindeva dalla quantificazione dell’assegno divorzile e veniva, pertanto, attribuita anche se l’importo mensile era minimo o addirittura simbolico. Ciò stante la natura autonoma e previdenziale della misura.
Tale orientamento è stato però sovvertito a seguito dell’emanazione dell’art. 5 della legge 263/2005 che, nel dettare un’interpretazione autentica della norma dell’art. 9 della legge sul divorzio, ha previsto che “per titolarità dell’assegno deve intendersi l’avvenuto riconoscimento dell’assegno medesimo”. Ciò che nel caso di specie non si è verificato, avendo la donna ricevuto soltanto un contributo annuale simbolico.
La Cassazione richiama, inoltre, una pronuncia delle Sezioni Unite, secondo cui il presupposto per l’attribuzione del trattamento di reversibilità a favore del coniuge divorziato va individuato nel venir meno del sostegno economico apportato in vita dall’ex coniuge scomparso. La sua finalità è cioè quella di sopperire a tale perdita economica, identificando la titolarità dell’assegno nella fruizione attuale, da parte del coniuge divorziato, di una somma periodicamente versata dall’ex coniuge come contributo al mantenimento.
In altre parole, per ricevere la reversibilità è necessario che l’assegno divorzile assolva alle finalità assistenziali e perequativo-compensative che gli sono proprie ex art. 5 della legge 898/1970 e che consentano all’ex coniuge il raggiungimento di un livello reddituale adeguato al contributo fornito durante il matrimonio nella formazione del patrimonio della famiglia e personale degli ex coniugi.
Nel caso di specie mancano tutti questi presupposti, essendo l’assegno divorzile meramente simbolico. All’ex moglie non spetta pertanto la reversibilità. “Una diversa soluzione – concludono gli Ermellini – porterebbe all’esito irragionevole di assicurare al coniuge divorziato una condizione migliore rispetto a quella di cui godeva quando l’ex coniuge era in vita”.