“Più spazio semplifica la condivisione dei pensieri in un tweet”, scriveva proprio in un tweet il CEO di Twitter Jack Dorsey, l’anno scorso a settembre, dopo che l’azienda californiana decise di raddoppiare permanentemente il numero di caratteri dei suoi tweet, portandoli da 140 a 280.
Ad oggi, tale strategia pare essersi rivelata vincente considerando che, al contrario degli scettici, i quali auspicavano la morte del social network, questo ha visto un aumento del 54% dell’indice di gradimento. La novità, oltretutto, ha portato con sé una valanga di like, retweet e mention, insieme a un incremento del numero di follower per utente e del tempo speso in generale sulla piattaforma.
Secondo le più recenti stime offerte da Twitter, sembra che, tra le parole più utilizzate e prima abbreviate o evitate, siano emerse forme di cortesia quali «grazie» e «per favore». In lingua inglese, inoltre, si è registra una diminuzione delle abbreviazioni: «gr8» (-36%) al posto di «great» (+ 32%), «b4» (-13%) al posto di «before» (+70%) e «sry» (-5%) al posto di «sorry» (+31%). I tweet, in ogni caso, non sono più lunghi di prima, anzi sembrano addirittura essersi accorciati di un carattere: prima 34, ora 33.
“Noi, come volti di voi – dicevano un anno addietro gli sviluppatori di Twitter su loro blog ufficiale, poco prima dell’aggiornamento definitivo – eravamo preoccupati che le timeline potessero riempirsi di tweet di 280 caratteri e che le persone avrebbero utilizzato questo nuovo spazio sempre per intero. Invece così non è stato“.
In tutto il mondo, ad oggi, solo il 6% dei tweet supera i 140 caratteri, il 3% va oltre i 190.
Curiosa, dopo l’introduzione dei 280 caratteri, la crescita dell’utilizzo dei punti interrogativi, indice che la Rete può ancora essere un luogo (virtuale) di scambio di idee e opinioni.