Scattano in America le prime class action (a San Josè, in California) contro il colosso di Menlo Park, dopo lo scandalo che ha visto rubate informazioni personali a oltre 50 milioni di utenti da parte di Cambridge Analytica. È bene ricordarlo: si tratta di dati raccolti da terze parti senza alcuna autorizzazione e utilizzati per avvantaggiare Donald Trump verso la scalata alla Casa Bianca.
Infuriati pure gli analisti che, nei giorni scorsi, hanno depositato una “citazione” al Tribunale Federale di San Francisco per avere subito danni economi a causa della perdita di valore della società in Borsa. Nel frattempo Zuckerberg si prende la colpa di quanto accaduto e afferma: «Sono responsabile per quanto successo, se non proteggiamo i vostri dati non meritiamo la vostra fiducia. Verificheremo ogni app sospetta», ma non basta.
In Italia, qualora lo scandalo dovesse riguardare anche i nostri concittadini, il Codacons promette di attuare un’ulteriore class action contro la società di Zuckerberg. «Al pari delle associazioni dei consumatori statunitensi che sono scese legalmente in campo contro il social network – si legge in un articolo pubblicato da La Repubblica – nel Bel Paese, l’organizzazione preposta alla tutela dei consumatori (il Codacons, ndr) sarà la prima a depositare un’eventuale class action contro Facebook. Se saranno accertate condotte illecite circa l’uso dei dati sensibili degli utenti, la loro profilazione a fini politici e l’avvio di campagne di comunicazione a carattere elettorale, chiameremo la società a rispondere dei danni prodotti ai cittadini italiani iscritti al social network».
Stephen Deadman, deputy chief global privacy officer di Facebook, si difende così dalle accuse nostrane: «Siamo fortemente impegnati nel proteggere le informazioni delle persone e accogliamo l’opportunità di rispondere alle domande poste dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni».
Il resto, purtroppo, è ancora da scrivere.