Università, quando i tagli diventano condanna e il Sud paga il prezzo più alto

Università, quando i tagli diventano condanna e il Sud paga il prezzo più alto

SICILIA – In un’Italia che spesso si proclama unita nei principi ma frammentata nei fatti, la questione universitaria torna ad accendere i riflettori su una delle fratture più profonde e irrisolte: quella tra Nord e Sud.

L’ennesimo taglio al Fondo di Finanziamento Ordinario per gli atenei statali, con 518 milioni di euro sottratti al sistema universitario, pesa come un macigno sull’intero Paese. Ma il bilancio, ancora una volta, non è solo una questione contabile: è una scelta politica, un’idea di futuro.

Tagli università statali: il Sud penalizzato

A pagare il prezzo più alto sono gli atenei del Mezzogiorno, in particolare quelli siciliani – Palermo, Catania, Messina – ai quali vengono sottratti oltre 35 milioni di euro. Fondi che non sono numeri astratti, ma risorse vitali per laboratori, docenze, progetti di ricerca, corsi di laurea.

Risorse che significano speranza, mobilità sociale, radici e ali per i giovani. Quando vengono meno, si spegne la luce in una “casa” già provata da carenze croniche, infrastrutture fragili e un’economia stagnante.

Le parole di Alessandro Spataro, membro del RUS

“La decisione del governo di ridurre i fondi universitari colpisce duramente le regioni del Sud, e la Sicilia in particolare. Con oltre 35 milioni di euro tagliati agli atenei di Palermo, Catania e Messina, questa scelta non è soltanto una manovra economica, ma un messaggio politico ben chiaro: il diritto allo studio e alla crescita culturale può essere sacrificato, soprattutto laddove serve di più”.

Così Alessandro Spataro, membro della Rete delle Università Italiane per lo sviluppo sostenibile (RUS), ai nostri microfoni, fotografa senza giri di parole l’urgenza di una riflessione collettiva.

“In un territorio che già affronta gravi difficoltà infrastrutturali e sociali, colpire l’università significa compromettere uno degli ultimi strumenti rimasti per il riscatto locale. Non è accettabile che politiche nazionali continuino ad alimentare il divario Nord-Sud, invece di colmarlo. Investire nell’istruzione universitaria siciliana è una battaglia politica per la giustizia sociale, la valorizzazione dei talenti e la costruzione di un futuro equo”, prosegue.

La Sicilia non può essere il laboratorio dell’abbandono: ha bisogno di visione, risorse e coraggio. Se l’università muore, muore anche la speranza di un domani migliore”, conclude.

Ponte o frattura?

Questi tagli non sono neutri. Colpiscono con chirurgica precisione dove il tessuto sociale è più fragile, dove la presenza dello Stato dovrebbe essere più forte, non più timida. Invece di agire come ponte, l’università rischia di diventare un’ulteriore frattura.

Il risultato è un Sud che forma meno, trattiene ancora meno e perde pezzi del suo futuro a ogni nuova ondata migratoria di studenti, ricercatori, insegnanti.

Eppure, l’università è uno dei pochi presìdi rimasti nei territori interni, nei quartieri in difficoltà, nelle province che non fanno rumore.

È luogo di confronto, motore di innovazione, palestra di cittadinanza. Tagliarla significa rinunciare a un’idea di sviluppo dal basso, inclusivo, duraturo. Significa rassegnarsi a un destino che dovrebbe invece essere sfidato.

L’articolo 3 della Costituzione

Non si tratta di chiedere privilegi, ma di pretendere equità. L’articolo 3 della Costituzione non è un ornamento retorico: impone alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli che impediscono la piena partecipazione alla vita del Paese.

Ogni euro negato alle università del Sud è un ostacolo in più, una rinuncia al dovere costituzionale di garantire pari opportunità a ogni cittadino, ovunque sia nato.

È tempo di ribaltare la logica dell’emergenza permanente, del “fare con poco”, della sopravvivenza culturale come unico orizzonte.

Serve una nuova narrazione, una che riconosca nel sapere un investimento strategico, non un costo da limare. Una narrazione che dica chiaramente che un Paese che smette di credere nell’università, smette di credere in sé stesso.