QUESTO ARTICOLO FA PARTE DEL CONCORSO DIVENTA GIORNALISTA, RISERVATO AGLI STUDENTI DELLE SCUOLE SUPERIORI DELLA PROVINCIA DI CATANIA.
Tutti parlano, tutti scrivono. Nessuno ascolta, e nel silenzio, ci si perde.
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E ancora, di nuovo.
Azioni che il nostro cervello, ormai, svolge in automatico. Come se le nostre mani, le nostre dita, sapessero già la strada sullo schermo del nostro telefono. Un riflesso incondizionato, un gesto vuoto privo di alcun significato effettivo. Ma perché? Vivere nel mondo di oggi richiede una competenza costante: quella digitale. La tecnologia oggi ci insegue ovunque e noi, quasi senza accorgercene, le corriamo incontro. Nelle scuole, in casa, al lavoro, persino nelle nostre macchine. Fa parte di noi. E in qualche modo le siamo affezionati. Come quando ci si affeziona a qualcosa che non si ama, ma da cui non ci si riesce a separare.
Al ristorante è più importante far mangiare prima la nostra fotocamera che noi stessi, perché un solo like alla storia, forse, ci fa sentire più apprezzati. È importante che chi ci segue veda quanto divertenti sono le nostre uscite. Così penseranno che non siamo persone noiose; che abbiamo vite piene di momenti unici e amicizie speciali. Così forse, anche solo per un momento, riusciamo a crederlo anche noi.
Le reti sociali hanno reso possibile un tipo di connessione che, apparentemente, sembra avvicinarci. Possiamo parlare facilmente con chi si trova a migliaia di chilometri, sapere subito cosa fanno gli altri, in tempo reale… Ma questa “comunicazione” manca di tutto ciò che rende noi esseri umani.
Manca l’empatia. Manca l’emozione. La tristezza, la gioia, il dubbio, l’attesa.
Tutti elementi imperfetti, fragili, spesso scomodi — ma autenticamente nostri.
La pelle suda, trema, arrossisce. La voce si incrina, si spezza. Gli occhi a volte sfuggono, a volte brillano.
Sono questi i gesti, i segni imperfetti che costruiscono un legame vero.
Il digitale, invece, non sbaglia. Non esita. Risponde con precisione, suggerisce soluzioni, ci consola senza contraddirci. Una perfezione che ci rassicura… ma ci svuota.
Parliamo, e ci rivolgiamo, a questi strumenti come se fossero una soluzione ai nostri problemi. Sempre con una buona risposta, pronti a offrirti una soluzione. Sono in molti quelli che oggi si sentono a loro agio a confidarsi con l’algoritmo piuttosto che con qualcuno in carne ed ossa. È la mancanza di giudizio da parte di quest’ultimo? O la sensazione di essere perfettamente capiti da un’entità globale? Sicuramente queste sono condizioni allettanti per chi si sente solo o incompreso. Ma siamo sicuri che ciò non faccia che aumentare questa sensazione di solitudine dentro di noi? E se pensando di colmare questo vuoto, non facessimo altro che distanziarci da ciò che realmente importa? E se tutto questo rumore fosse solo un modo per non sentire il silenzio vero, quello che ci parla di noi? Un entusiasmo, che nasconde qualcosa di ancora più profondo: l’illusione della compagnia.
Alice Lupo 3^ALES – Istituto Turrisi Colonna – Catania (CT)
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