Morta una giovane migrante ustionata per un’esplosione sul barcone giunto a Lampedusa

Morta una giovane migrante ustionata per un’esplosione sul barcone giunto a Lampedusa

PALERMO – Al “Centro grandi ustioni” del Civico di Palermo è morta ieri una 16enne migrante. Non è deceduta durante il naufragio. La ragazza ha subìto violenze e privazioni indicibili in Libia, dove ha vissuto un anno e mezzo prima di aver raggiunto Lampedusa.

La migrante 16enne morta a Palermo

La sedicenne era sola: in questi tre mesi in cui si trovava affidata alle cure degli operatori della struttura, hanno lavorato con tenacia per restituirle identità, radici, dignità. Grazie al lavoro degli operatori si è scoperto che la ragazza ha subito un rapimenti dal suo Paese d’origine insieme alla cugina e che quest’ultima non ce l’ha fatta ed è morta nel deserto.

Durante quel viaggio, sul barcone in cui si trovava, quattro ragazze hanno trovato la morte. La ragazza si sarebbe ustionata gravemente a seguito di un’esplosione. Un paio di orecchini e un numero di telefono hanno permesso di risalire a uno zio a Londra. Da lui si è arrivati alla madre.

Il racconto degli operatori di accoglienza

Gli operatori del Sistema accoglienza integrazione del Comune raccontano: “Dopo due anni in cui la mamma non aveva più avuto notizie di lei abbiamo potuto dirle che sua figlia era viva e che l’aspettava, che i medici erano pronti a operare ma avevano bisogno del suo sostegno perchè la loro piccola e dolce paziente (così la definivano) non avrebbe potuto affrontare da sola l’intervento che avrebbe provato a salvarla”.

Così, grazie a un lavoro corale fatto anche insieme a tutte l’equipe del Cresm, Centro ricerche economiche e sociali per il Meridione, è stata ottenuta l’autorizzazione per fare arrivare a Palermo la mamma della giovane che è arrivata venti giorni fa e ha potuto riabbracciare sua figlia: «Ha potuto guardarla, parlarle, farla sorridere, tra le pieghe delle sue bende.

“L’abbraccio tra loro è stato pieno di vita, di dolore, ma anche di senso». Alla fine, però, hanno dovuto dirle che – la sua bambina – non ce l’ha fatta: “Oggi proviamo strazio, rabbia ma sentiamo anche tutta la determinazione a non restare in silenzio”.

“Non dobbiamo perdere la capacità di riconoscere la profonda ingiustizia di un mondo che spesso brucia le persone, ma non i confini, i muri”. “Ci sono dolori che non si possono spiegare. Tanta rabbia per l’ingiustizia di leggi razziali, discriminanti dove – dice Abraha Yodit, originaria di Asmara, responsabile Servizio Progetto Sprar presso Comunità urbane solidali – il valore della vita è pari a zero”.