Catania, la vita sospesa dei lavoratori dell’ODA e delle loro famiglie

Catania, la vita sospesa dei lavoratori dell’ODA e delle loro famiglie

CATANIA – “Se l’ODA paga, possiamo fare la spesa. Se l’ODA paga, porto mio figlio dal medico. Se l’ODA paga, viviamo”, è questa la frase che scandisce la quotidianità di intere famiglie legate alla Fondazione ODA di Catania, che da mesi i lavoratori attendono il pagamento degli stipendi.

Una situazione che non è nuova ma che si è cronicizzata, aggravando le condizioni economiche, psicologiche e sociali di centinaia di persone. A denunciarlo sono le lavoratrici e i lavoratori stessi, insieme a chi condivide con loro le conseguenze di questo disastro silenzioso.

L’intervento Pina Margaglio lavoratrice storica dell’ODA

“Solo una volta quattro mesi di ritardo, poi si erano regolarizzati. Ora siamo punto e a capo”, racconta una lavoratrice dell’ODA Pina Margaglio. “I ritardi si sono trasformati in prassi. A volte manca sei mesi, a volte due. Ma chi ci sostiene in tutto questo? Se entrambi i coniugi lavorano nella struttura, vanno a fondo. Alcuni si appoggiano ai parenti, altri agli usurai. Io stessa ho cresciuto i miei figli con la promessa del ‘poi si vedrà’. È ingiusto vivere così”.

 

Una fotografia di quanto accade

Tabbita Siena Corrado, Responsabile Regionale Lavoro Privato USB Sicilia, racconta quanto accade: “Il Commissario Straordinario, in carica da otto anni all’ODA, continua a fare promesse vuote. Ma intanto i lavoratori pagano con le loro vite”.

 

Vite sospese

La forza di questo dramma collettivo emerge in modo ancora più potente dalle parole di chi non lavora all’ODA, ma ci vive accanto. Letizia Leontini, moglie di un dipendente, racconta in una lettera che è diventata virale il peso quotidiano del vivere sospesi: “Da un anno il mio stipendio è l’unico in casa. Il mutuo, le rate, la spesa, le bollette: tutto pesa su di me. La banca non aspetta che l’ODA paghi. Le scadenze non aspettano. E io vivo con il conto in rosso e la rabbia che cresce“.

Non si tratta più solo di soldi, ma di salute mentale, di dignità, di normalità. “Vogliamo solo vivere con dignità. Lo stipendio non è un favore. È un diritto“, scrive Letizia.

L’Unione Sindacale di Base ha promesso battaglia e continuerà a sollevare il caso. Ma intanto, mentre i finanziamenti promessi restano sulla carta e le soluzioni tardano, la vita delle famiglie dell’ODA resta congelata in un eterno, logorante “se”.