CASTELVETRANO – È morto Matteo Messina Denaro, catturato lo scorso 16 gennaio dopo 30 anni di latitanza. Si è spento all’ospedale de L’Aquila all’età di 61 anni, dopo aver trascorso un breve periodo di detenzione nel carcere di massima sicurezza della stessa città.
Affetto da un tumore al colon con metastasi epatiche, a partire dal suo ingresso in carcere il boss era stato sottoposto a cicli di chemioterapia, che comunque non sono stati sufficienti per arrestare il corso della malattia. Il suo tumore era ormai a uno stadio avanzato.
Il peggioramento delle ultime ore
Il suo quadro clinico era peggiorato nei giorni scorsi, a causa di un grave sanguinamento, seguito da un collasso con i parametri vitali compromessi. Nelle scorse ore era entrato in coma irreversibile: poco dopo i medici ne avevano sospeso l’alimentazione.
Contrario all’accanimento terapeutico
Nel suo testamento biologico il boss aveva manifestato la volontà di non essere sottoposto ad accanimento terapeutico con l’utilizzo delle macchine per essere tenuto in vita. Per questa ragione, da qualche settimana aveva iniziato la terapia del dolore, dopo aver interrotto la chemioterapia.
Chi era Matteo Messina Denaro
Noto anche con i soprannomi U siccu e Diabolik, Matteo Messina Denaro nasce a Castelvetrano il 26 aprile 1962. Un mafioso, legato a Cosa nostra. Capo del mandamento della sua città natale e rappresentante indiscusso della mafia nella provincia di Trapani, è stato uno dei boss più potenti di tutta Cosa Nostra, arrivando a esercitare il proprio potere anche oltre i confini della propria provincia, come in quelle di Agrigento e, addirittura, di Palermo.
Messina Denaro, dalla latitanza all’arresto: la storia di “Diabolik”
Figlio del vecchio capomafia di Castelvetrano Ciccio, storico alleato dei corleonesi di Totò Riina, Matteo Messina Denaro era latitante dall’estate del 1993, quando in una lettera scritta alla fidanzata dell’epoca, Angela, dopo le stragi mafiose di Roma, Milano e Firenze, preannunciò l’inizio della sua vita da Primula Rossa.
“Sentirai parlare di me – le scrisse, facendo intendere di essere a conoscenza che di lì a poco il suo nome sarebbe stato associato a gravi fatti di sangue – mi dipingeranno come un diavolo, ma sono tutte falsità“.
Il capomafia trapanese è stato condannato all’ergastolo per decine di omicidi, tra i quali quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito strangolato e sciolto nell’acido dopo quasi due anni di prigionia, per le stragi del ’92, costate la vita ai giudici Falcone e Borsellino, e per gli attentati del ’93 a Milano, Firenze e Roma.
Messina Denaro era l’ultimo boss mafioso di “prima grandezza” ancora ricercato. Per il suo arresto, negli anni, sono stati impegnati centinaia di uomini delle forze dell’ordine.
La sua cattura ha messo fine alla sua fuga decennale. Una latitanza record come quella dei suoi fedeli alleati Totò Riina, sfuggito alle manette per 23 anni, e Bernando Provenzano, riuscito a evitare la galera per 38 anni.
Biografia
Messina Denaro è figlio di Francesco Messina Denaro, fratello di Patrizia Messina Denaro e zio di Francesco Guttadauro. Insieme al padre, Messina Denaro svolgeva l’attività di fattore nelle tenute agricole della famiglia D’Alì Staiti, già proprietari della Banca Sicula di Trapani, all’epoca il più importante istituto bancario privato siciliano, e delle saline di Trapani. Il suo padrino di cresima è Antonino Marotta, “uomo d’onore” ed ex affiliato alla banda di Salvatore Giuliano, coinvolto anche nella misteriosa morte del bandito. Nel 1989 Messina Denaro venne denunciato per associazione mafiosa perché ritenuto coinvolto nella sanguinosa faida tra i clan Accardo e Ingoglia di Partanna.
Nel 1991 si rese inoltre responsabile dell’omicidio di Nicola Consales, proprietario di un albergo di Triscina, che si era lamentato con la sua impiegata austriaca (che era anche l’amante di Messina Denaro) di “quei mafiosetti sempre tra i piedi“.
Matteo Messina Denaro ricopre di fatto il ruolo di capo della cosca di Castelvetrano e del relativo mandamento, alleato dei corleonesi già dalla guerra di mafia dei primi anni ’80. Infatti, negli anni successivi il collaboratore di giustizia Baldassare Di Maggio dichiarerà che si trattava di “un giovane rampante, anche se non è già capo, e suo padre gli ha dato un’ampia delega di rappresentanza del mandamento” (il padre era infatti latitante dal 1990).
Nel 1992 Messina Denaro fece parte di un gruppo di fuoco, composto da mafiosi di Brancaccio e della provincia di Trapani, che venne inviato a Roma per compiere appostamenti nei confronti del presentatore televisivo Maurizio Costanzo e per uccidere Giovanni Falcone e il ministro Claudio Martelli, facendo uso di kalashnikov, fucili e revolver, procurati da Messina Denaro stesso; qualche tempo dopo, però, il boss Salvatore Riina fece ritornare il gruppo di fuoco, perché voleva che l’attentato a Falcone fosse eseguito diversamente.
Nel luglio 1992 Messina Denaro fu tra gli esecutori materiali dell’omicidio di Vincenzo Milazzo (capo della cosca di Alcamo), che aveva cominciato a mostrarsi insofferente all’autorità di Riina; pochi giorni dopo, Messina Denaro strangolò barbaramente anche la compagna di Milazzo, Antonella Bonomo, che era incinta di tre mesi: i due cadaveri furono poi seppelliti nelle campagne di Castellammare del Golfo. In seguito, Messina Denaro fece anche parte del gruppo di fuoco che compì il fallito attentato al vicequestore Calogero Germanà, a Mazara del Vallo (14 settembre 1992).
Dopo l’arresto di Riina, Messina Denaro fu favorevole alla continuazione della strategia degli attentati dinamitardi, insieme ai boss Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e ai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano; Messina Denaro mise infatti a disposizione un suo uomo, Antonio Scarano (spacciatore di droga di origini calabresi residente a Roma), per fornire supporto logistico al gruppo di fuoco palermitano che compì gli attentati dinamitardi a Firenze, Milano e Roma, che provocarono in tutto dieci morti e 106 feriti, oltre a danni al patrimonio artistico. Organizzò poi l’attentato ai danni di Totuccio Contorno coadiuvato da Leoluca Bagarella.
La latitanza
Nell’estate 1993, mentre avvenivano gli attentati dinamitardi, Messina Denaro andò in vacanza a Forte dei Marmi insieme ai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano e da allora si rese irreperibile, dando inizio alla sua lunga latitanza.
Da allora nei suoi confronti venne emesso un mandato di cattura per associazione mafiosa, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materiale esplosivo, furto e altri reati minori. Fu però con l’operazione Petrov del marzo 1994, scaturita dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pietro Scavuzzo, che emerse il suo ruolo all’interno di Cosa nostra trapanese e, ancora di più, con l’operazione “Omega”, portata a termine dai carabinieri nel gennaio 1996 con 80 ordinanze di custodia cautelare sulla base della accuse dei collaboratori di giustizia Antonio Patti, Salvatore Giacalone, Vincenzo Sinacori e Giuseppe Ferro, i quali ricostruirono più di vent’anni di omicidi avvenuti nel Trapanese: nel 2000, alla conclusione del maxi-processo “Omega” che scaturì dall’operazione e che si svolse nell’aula-bunker del carcere di Trapani, Messina Denaro venne condannato in contumacia alla pena dell’ergastolo.
Nel novembre 1993 Messina Denaro fu tra gli organizzatori del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo per costringere il padre Santino a ritrattare le sue rivelazioni sulla strage di Capaci; infine, dopo 779 giorni di prigionia, il piccolo Di Matteo venne brutalmente strangolato e il cadavere sciolto nell’acido.
Nel 1994 Messina Denaro organizzò un attentato dinamitardo contro il pentito Totuccio Contorno, insieme a Giovanni Brusca; tuttavia l’esplosivo, collocato in una cunetta ai lati di una strada nei pressi di Formello, dove Contorno passava abitualmente, venne scoperto dai carabinieri, avvertiti dalla telefonata di un cittadino, insospettito da alcuni movimenti strani.
Nel 1998, dopo la morte del padre Francesco (stroncato da un infarto durante la latitanza), Messina Denaro è diventato capomandamento di Castelvetrano e anche rappresentante della provincia di Trapani in Cosa nostra.
Le indagini sulla latitanza
Il collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori ha dichiarato che nel 1994 Messina Denaro si recò nella clinica oculistica Barraquer di Barcellona, in Spagna, per curare una forte miopia che lo aveva condotto a una forma di strabismo. Nel 2004 il SISDE tentò di individuare Messina Denaro attraverso Antonino Vaccarino (ex sindaco di Castelvetrano già inquisito per associazione mafiosa), sfruttando le numerose conoscenze che Vaccarino aveva negli ambienti vicini a Cosa nostra; infatti l’ex sindaco, per conto dei servizi, riuscì a stabilire un contatto con Messina Denaro proponendogli numerosi investimenti negli appalti pubblici per attirarlo in trappola: le comunicazioni con il latitante avvenivano attraverso pizzini in cui Messina Denaro usava lo pseudonimo di “Alessio” mentre Vaccarino quello di “Svetonio“; l’ex sindaco riuscì anche a prendere contatti con il boss Bernardo Provenzano attraverso il nipote Carmelo Gariffo.
L’11 aprile 2006, nel casolare di Corleone dove venne arrestato Provenzano, gli inquirenti trovarono numerosi pizzini mandati da “Alessio”, nei quali si parlava degli investimenti proposti dall’ex Sindaco Antonio Vaccarino, che stava collaborando con il SISDE per la cattura del boss, ma anche di altri affari in attività lecite, come l’apertura di una catena di supermercati nella provincia di Agrigento e la ricerca di qualche prestanome per poter aprire un distributore di carburante nella zona di Santa Ninfa, in provincia di Trapani. In seguito all’arresto di Provenzano, Messina Denaro interruppe la corrispondenza con Vaccarino, inviandogli un ultimo pizzino in cui gli raccomandava “di condurre una vita trasparente in modo da non essere coinvolto nelle indagini“. Ma la diffusione della collaborazione del Vaccarino da parte del quotidiano “La Repubblica” fece saltare l’operazione del SISDE e la probabile cattura di Messina Denaro. Su tale fuga di notizie non è mai stata aperta un’indagine.
Nel giugno 2009 gli agenti del Servizio centrale operativo e delle squadre mobili delle questure di Trapani e Palermo condussero l’operazione denominata “Golem”, che portò all’arresto di tredici persone tra mafiosi e imprenditori trapanesi, accusati di favorire la latitanza di Messina Denaro fornendogli documenti falsi ma anche di gestire estorsioni e traffico di stupefacenti per conto del latitante. Successivamente, nel marzo 2010 la DDA di Palermo coordinò l’indagine “Golem 2”, condotta sempre dagli agenti dal Servizio Centrale Operativo e delle squadre mobili di Trapani e Palermo, che portò all’arresto di altre diciannove persone a Castelvetrano, accusate di aver compiuto estorsioni e incendi dolosi per conto di Messina Denaro ai danni di imprenditori e politici locali; tra gli arrestati figurarono anche il fratello del latitante, Salvatore Messina Denaro e i suoi cugini Giovanni e Matteo Filardo, nonché l’ottantenne Antonino Marotta, definito “il decano della mafia trapanese” perché ex appartenente alla banda di Salvatore Giuliano.
Il 27 luglio 2010 il collaboratore di giustizia Manuel Pasta dichiarò che Messina Denaro, nonostante le estenuanti ricerche e gli arresti di appartenenti alla sua cerchia, avrebbe visto con alcuni mafiosi palermitani la partita di calcio Palermo-Sampdoria allo stadio Renzo Barbera il 9 maggio 2010. La partecipazione alla partita sarebbe stata solo una parte di un incontro tra il latitante e altri capi della provincia, per discutere sull’organizzazione di nuovi attentati dinamitardi contro il palazzo di giustizia e la squadra mobile di Palermo, in risposta ai numerosi arresti contro esponenti mafiosi.
Nel 2010 Messina Denaro è stato inserito dalla rivista Forbes nell’elenco dei dieci latitanti più pericolosi del mondo.
Nel 2015 l’emittente Radio Onda Blu avrebbe fornito le immagini satellitari della sua presunta abitazione a Baden, in Germania, e della sua auto. Tuttavia su questo fatto non si sono avute conferme né smentite dagli inquirenti. Salvatore Rinzivillo, arrestato in un’operazione coordinata dalle Procure antimafia di Roma e Caltanissetta, era stato pedinato e si è visto che si recava a Castelvetrano, dove ha incontrato un uomo che non è stato identificato ma che risponde alla descrizione di Messina Denaro. Non è stato possibile comunque risalire all’identità di questa persona. Tuttavia l’indagine ha portato un risultato positivo, perché ha condotto all’arresto dell’agente dell’Aisi Marco Lazzari, che stava proteggendo la latitanza di Messina Denaro.
Il 13 marzo 2018 viene annunciato l’arresto, da parte di carabinieri e DIA, di 12 soggetti ritenuti esponenti di Cosa nostra, che avrebbero provveduto al mantenimento di Matteo Messina Denaro.
Il 29 ottobre 2018 la polizia arresta Leo Sutera, amico di Matteo Messina Denaro e considerato il capo della mafia di Agrigento. Sutera era già stato arrestato nel 2012, ma l’arresto aveva suscitato forti polemiche, perché si riteneva che continuando a sorvegliarlo, come si stava già facendo da due anni, Sutera avrebbe condotto le forze dell’ordine allo stesso Matteo Messina Denaro, con il quale aveva affermato di essersi incontrato poco prima. All’epoca i carabinieri volevano continuare a sorvegliare Sutera, mentre la polizia guidata dal procuratore capo di Palermo Francesco Messineo decise di arrestarlo. Il 18 luglio 2019 Sutera fu condannato in appello a 18 anni di carcere, insieme ai fiancheggiatori Maria Salvato e Vito Vaccaro.
Un pentito ha affermato che il latitante si sarebbe sottoposto ad un intervento di chirurgia plastica al volto, per non essere riconoscibile. L’intervento sarebbe avvenuto in Piemonte o in Valle D’Aosta. Un informatore ha invece affermato al contrario che Matteo Messina Denaro si è fatto la plastica in Bulgaria, sia al volto sia ai polpastrelli, per non essere riconoscibile. Inoltre ha sostenuto che il latitante ha problemi di salute: non ci vede quasi più ed è in dialisi. Il testimone ha raccontato che Messina Denaro si è recato più volte a Pisa e a Lamezia Terme, e che sarebbe protetto dalla ‘ndrangheta. Sul suo racconto ha indagato la Procura distrettuale antimafia di Firenze.
La sua latitanza è stata finanziata anche con il gioco d’azzardo, praticato in Sicilia e a Malta, dove l’imprenditore Carlo Cattaneo si è recato più volte.
Messina Denaro ha legami anche con il Venezuela, dove alcune persone legate al latitante avrebbero gestito i suoi interessi.
Il 16 aprile 2019, nell’ambito delle indagini sulla latitanza di Messina Denaro, vengono arrestati due carabinieri con l’accusa di favoreggiamento alla mafia, e inoltre viene b, l’ex sindaco di Castelvetrano che inviava pizzini a Messina Denaro.
A marzo del 2019 viene scoperta una loggia massonica a Castelvetrano, paese natale del boss e di riferimento del clan mafioso, operazione alla quale segue a novembre un blitz antidroga a Palermo, nel quale viene arrestato Antonio Messina, ex avvocato radiato dall’albo e massone trapanese di lungo corso, che teneva i contatti con la criminalità siciliana radicata nel milanese nell’ambito di un traffico di hashish organizzato fra la Spagna, Milano e la Sicilia.
A dicembre del 2019 viene rivelato che nel 2015, quando a capo del pool che indagava su Messina Denaro vi era il magistrato Teresa Principato, dal suo ufficio sono scomparsi un computer portatile da 10 pollici e due pendrive, con informazioni riguardanti le indagini e coperte da segreto istruttorio.
Le indagini hanno portato anche a Milano, dove alcuni uomini legati alla ‘ndrangheta e al narcotraffico potrebbero costituire la sua rete di protezione che gli permette di essere latitante.
A febbraio 2020, dopo la cattura del boss Salvatore Nicitra, uno dei capi della Banda della Magliana, le indagini hanno portato anche a Roma, perché Nicitra aveva forti legami con Cosa nostra di Agrigento, che si ritiene finanzi la latitanza di Messina Denaro. Nicitra era attivo nel settore del gioco d’azzardo e delle slot-machines, e aveva legami con dei boss albanesi.
Tra il 15 e 20 giugno 2020 vengono arrestati numerosi fiancheggiatori di Messina Denaro, dapprima Francesco Domingo ritenuto boss di Castellammare del Golfo ed al vertice tra le articolazioni mafiose trapanesi e di collegamento con Cosa nostra statunitense. Insieme a lui sono state denunciate 11 persone ed indagato pure il sindaco della città Nicola Rizzo. Infine è stata perquisita la residenza anagrafica del boss latitante a Castelvetrano ed indagate a vario titolo 15 persone tra la Sicilia e Caserta, mentre tra gli arrestati figurano Giuseppe Calcagno che svolgeva il compito di “postino” nella consegna degli ordini tramite pizzini e Marco Manzo che rappresentava Matteo Messina Denaro nelle varie riunioni dell’organizzazione criminale.
Il 21 ottobre 2020 viene condannato all’ergastolo dalla Corte D’Assise di Caltanissetta per essere stato uno dei mandanti delle stragi di Capaci e via D’Amelio.
La sera del 13 settembre 2021, dopo un’indagine della procura di Trento, un uomo scambiato per Denaro fu erroneamente arrestato in un ristorante a L’Aia. Si trattava in realtà di un turista originario di Liverpool e residente in Spagna, che si trovava nei Paesi Bassi per assistere al Gran Premio d’Olanda di Formula 1. L’uomo è stato rilasciato nei giorni successivi dopo essere stato sottoposto ad un test del DNA dal risultato negativo.