Intervista Andrea Ranocchia: un cuore nerazzurro che non smette di gioire

Andrea Ranocchia, ex difensore dell’Inter, non smette di gioire per il successo dell’Inter in campionato e parla, a ruota libera, della sua esperienza personale, di quanto siano bravi i dirigenti nerazzurri, del ruolo dell’allenatore e del problema razzismo ai giorni d’oggi. Vediamo insieme cosa ci racconta.

 

Andrea Ranocchia, per molti anni difensore nerazzurro ritiratosi, dopo un brutto infortunio, nel 2022, è un fiume in piena e nella sua intervista esclusiva su sitiscommesse.com, inizia subito col fare i complimenti all’Inter per il ventesimo scudetto, conquistato, poi, nel bel mezzo di una stracittadina: “Vincerlo nel derby ha un sapore ancora più importante. Quindi diciamo che l’importante era vincere, però vincere nel derby è ancora più speciale.”

 

Proprio sull’argomento derby, Andrea ha un ricordo amaro ma edificante. Invece di raccontare un successo, infatti, vuole parlare di una sconfitta, quella contro il Milan nella stagione 2010-2011, la sua prima all’Inter, Quell’anno, successivo al trionfo del Triplete, Ranocchia è protagonista, con tutta la squadra di una rimonta incredibile. Arrivati a -2 dalla vetta, l’Inter si gioca con il Milan il primo posto e perde: “purtroppo è finita male, ma nel calcio funziona così, non può andar sempre tutto bene.”.

Andrea, infatti, tende a giustificare anche la sconfitta contro l’Atletico Madrid in Champions League. Non è stata, infatti, la lotteria dei rigori a fermare il cammino interista ma i tanti errori fatti in precedenza: “All’andata ha creato tanto, ma non ha concretizzato le occasioni. Ma lì sono episodi perché comunque all’andata l’Inter ha fatto una grande partita, ha creato tantissimo ma gli è mancato l’ultimo passo perché se fossero riusciti ad arrivare a Madrid con un punteggio diverso sicuramente sarebbero passati.”

Dirigenza, allenatore moderno, ritiro dal mondo del calcio

Al di là delle celebrazioni per la vittoria scudetto è bene anche parlare di tutto il lavoro che c’è dietro, anche da parte della dirigenza. Andrea dice: “Per me quelli della dirigenza negli ultimi anni sono stati dei fenomeni a livello mondiale. Io non credo che altri dirigenti siano riusciti a fare il lavoro che hanno fatto loro visto il pochissimo budget, cioè quasi zero.” Questo è quello che, secondo Andrea, ha fatto sì che gente come Marotta, Ausilio e Baccin, sia artefice, come i giocatori, del grande trionfo dell’Inter.

 

Prendere gente come Sommer e Thuram non è scontato e anche il loro grande apporto a tutta la stagione non era, come dire, preventivato. Questi sono giocatori che hanno fatto più che bene, certamente anche grazie a Simone Inzaghi che è un grande allenatore, un uomo intelligente ed empatico che sa come stimolare i propri calciatori e che capisce quali sono i loro stati d’animo. Creare gruppo, come ha fatto De Rossi con la Roma è un plus fondamentale per quello che è l’allenatore moderno.



Ranocchia, infatti, sostiene che “allenatore forte riesce a far rendere una squadra molto di più rispetto a quello che poteva essere tanti anni fa che il giocatore di alto livello era quello che faceva la fortuna dell’allenatore. Adesso secondo me è il contrario, l’allenatore deve avere tanta qualità per poi dare indicazioni giuste per preparare il giocatore, preparare la partita, per preparare anche una eventuale vittoria o sconfitta perché poi anche quello incide nel cammino di un campionato.” Quindi, non solo moduli ma costruzione e miglioramento del giocatore grazie al mister giusto.

 

Dopo tanti anni passati all’Inter e una breve parentesi inglese, Andrea passa al Monza, la sua ultima squadra prima del ritiro dovuto al brutto infortunio subito. Ranocchia non ha un grande impatto negli spogliatoi, i ragazzi con cui gioca sono tutti troppo piccoli ma, proprio a causa infortunio, Monza resta la pietra tombale della sua carriera: “ho maturato la decisione. Ho chiamato il dottor Galliani, ho detto: “guardi è inutile che la prendo in giro, se lei accetta io rescinderei e la finiamo così”. A malincuore, perché mi è dispiaciuto fare quella chiamata perché lui credeva tanto in me.”.

 

La fine della sua carriera, quindi, arriva a 34 anni, dopo aver vinto lo scudetto con l’Inter e aver sfiorato, nel 2014, il passaggio alla Juve. In quel caso, fu Ranocchia a scegliere di restare in nerazzurro. Zanetti stava pensando al ritiro, Ranocchia sarebbe diventato capitano ed era un’occasione troppo importante dal punto di vista emotivo e di carriera: “essere ricordato ad oggi dai tifosi interisti per come sono ricordato, per come sono accolto, per l’esperienza che ho avuto all’Inter e per il fatto che sono riuscito a vincere anche solo un campionato con l’Inter, per me ha ripagato tutto.”

 

Razzismo negli stadi e troppa pressione sui giovani calciatori

Ranocchia apre una parentesi sul tema del razzismo nel calcio e lo fa dicendo che “non sta peggiorando. Un po’ di anni fa era peggio. Anche all’interno di uno stadio si sentivano tanti buu razzisti da parte dei tifosi. Il problema è che non sta migliorando, non sta migliorando così tanto.”. Questo nasce da un problema di ignoranza di fondo, acuito anche dai modi dei giovani che sono attaccati al proprio smartphone e non sono culturalmente degni di nota.

 

Stessa motivazione, quella dei social, anche per la troppa pressione sui giovani calciatori che, insieme alle scarse strutture a livello giovanile, non permette ai nostri calciatori di diventare davvero dei campioni. Il calciatore legge di tutto sui propri profili: “tutti sono giornalisti, tutti possono scrivere qualsiasi cosa, tutti possono arrivare a qualsiasi giocatore con due righe.”.  Questo tende a innervosire, a rendere il giovane più aggressivo e bloccargli lo sviluppo di crescita che non deve essere per forza subitaneo ma anche in qualche anno di assestamento.

 

Proprio per questo, Ranocchia si augura per suo figlio che il calcio sia solo un divertimento e che, con il passare del tempo, si decida solo più in là se vale la pena di iniziare una carriera come calciatore. Ci sono troppi genitori che hanno grosse aspettative sui propri figli: “Ci sono tanti genitori che mi chiamano e mi dicono vieni a vedere mio figlio, dammi una mano, cosa devo fare perché è bravo… io non posso fare niente. C’è un percorso, se è bravo arriva in qualche modo, non c’è bisogno né di prendere il procuratore a 14 anni, né di farlo venire a vedere da chissà che osservatore.”. Il calcio, dunque, come sport e non come trampolino sicuro per un successo nello sport. Non funziona cosi (fortunatamente).