QUESTO ARTICOLO FA PARTE DEL CONCORSO DIVENTA GIORNALISTA, RISERVATO AGLI STUDENTI DELLE SCUOLE SUPERIORI DELLA PROVINCIA DI CATANIA.
Per alcuni migliori amici, per altri campioni da laboratorio… Ma cosa sono davvero gli animali che abitano intorno a noi? Per rispondere a questa domanda, ogni anno il 24 aprile si celebra in tutto il mondo la Giornata Mondiale per gli Animali nei Laboratori,
un’occasione di sensibilizzazione e mobilitazione civile fondata nel 1979 dalla National Anti-Vivisection Society (NAVS) nel Regno Unito.
Questa giornata non è solo un simbolo della lotta contro la sperimentazione animale, ma rappresenta anche un momento di commemorazione per le vite spezzate nel silenzio dei laboratori, spesso senza voce né riconoscimento.
Attraverso manifestazioni, marce, conferenze, proiezioni pubbliche e campagne social, la ricorrenza intende ricordare a governi, scienziati e cittadini che dietro ogni dato scientifico possono celarsi storie di sofferenza invisibile.
Gli obiettivi sono chiari: onorare le vittime, promuovere un cambiamento politico concreto, educare la popolazione e sostenere una scienza realmente etica.
Se il dolore degli animali è visibile nei corpi feriti, quello degli esseri umani coinvolti nella sperimentazione è spesso invisibile, ma non per questo meno reale. La sofferenza psicologica di chi lavora nei laboratori – tecnici, ricercatori, studenti – è un tema ancora poco esplorato, ma emergente.
Molti operatori raccontano di vivere una dissonanza cognitiva: da un lato la convinzione di contribuire al bene della scienza, dall’altro la consapevolezza della sofferenza inflitta ad animali senzienti. Questo conflitto può portare a:
- Stress post-traumatico (PTSD).
- Sensi di colpa cronici.
- Disturbi del sonno e ansia.
- Anedonia (perdita di capacità di provare piacere).
Non tutti gli scienziati sono favorevoli alla sperimentazione animale. Oggi medici, biologi e farmacologi mettono in dubbio l’affidabilità scientifica di questi test.
Secondo Doctors Against Animal Experiments, i modelli animali sono troppo lontani dalla fisiologia umana per produrre risultati validi. Farmaci testati con successo sugli animali falliscono nell’89% dei casi in fase clinica sull’uomo.
Ogni tanto emergono storie che incrinano la percezione di una scienza intoccabile. Una di queste è quella di Michelle Rokke, attivista di People for the Ethical Treatment of Animals (PETA), che negli anni ’90 decise di andare oltre la protesta: si infiltrò come dipendente all’interno di un laboratorio di sperimentazione animale, Huntingdon Life Sciences (HLS), uno dei centri più discussi nel panorama mondiale. Durante otto mesi di lavoro, utilizzando una microcamera nascosta negli occhiali, registrò circa 50 ore di video, sei ore di audio e copiò oltre 8.000 pagine di documenti, inclusi elenchi di clienti e protocolli sperimentali .
Le sue registrazioni documentavano pratiche discutibili, come la mancanza di anestesia adeguata durante interventi chirurgici su primati e il trattamento brusco di animali da parte dei tecnici. Un video di nove minuti, estratto dalle sue riprese, mostrava tecnici che maltrattavano scimmie e cani, suscitando indignazione pubblica . A seguito della diffusione del materiale, HLS intentò una causa contro Rokke e PETA, accusandoli di violazione di contratto, furto di segreti commerciali e diffamazione. Un tribunale federale emise un’ingiunzione temporanea che vietava a PETA di utilizzare o divulgare le informazioni raccolte da Rokke .
Le rivelazioni portarono anche a conseguenze per HLS: tre tecnici furono licenziati, due manager retrocessi e un capo dipartimento sostituito. Inoltre, il
Dipartimentodell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) multò l’azienda con una sanzione di 50.000 dollari per violazioni della legge sul benessere animale .
Le esperienze di Rokke furono raccolte nei “Diari di Michelle Rokke”, pubblicati in italiano da AgireOra Edizioni. Il libro offre una testimonianza diretta delle condizioni nei laboratori di HLS, evidenziando non solo episodi di crudeltà, ma anche una cultura di indifferenza e mancanza di empatia verso gli animali .
Spesso le istituzioni scientifiche non forniscono supporto psicologico. Anzi, si incoraggia il distacco emotivo come segno di professionalità. In alcuni casi, si arriva alla negazione sistematica dell’empatia, che diventa una “debolezza da reprimere”.
Spesso ignorato è il tema della sofferenza psicologica degli operatori che lavorano a contatto con animali da laboratorio.
Secondo alcune indagini, molti sviluppano sintomi da stress post-traumatico, sensi di colpa, disturbi del sonno.
Alcuni ricercatori hanno denunciato pubblicamente la pressione a “non empatizzare”, come se il distacco emotivo fosse garanzia di rigore scientifico.
Brian Gunn, ex scienziato e oggi attivista, ha raccontato le notti insonni vissute dopo aver condotto test dolorosi su primati.
Gunn ha evidenziato l’inefficacia di molti test sugli animali, sottolineando che i risultati ottenuti spesso non sono applicabili agli esseri umani. Ad esempio, ha citato dati secondo cui i test su animali e i risultati sugli esseri umani coincidono solo nel 5-25% dei casi, rendendo molte sperimentazioni non solo crudeli ma anche scientificamente irrilevanti.
Attraverso l’IAAPEA, Gunn ha raccolto e diffuso immagini che mostrano le condizioni estreme a cui sono sottoposti gli animali nei laboratori. Le sue fotografie documentano test come il Draize eye test, in cui sostanze chimiche vengono applicate negli occhi di conigli per valutare l’irritazione, causando spesso dolore intenso e cecità. Altre immagini mostrano animali sottoposti a privazione sensoriale, isolamento sociale, scosse elettriche e mutilazioni.
Gunn ha anche portato alla luce esperimenti psicologici condotti su animali, a cui hanno causato stati di stress, ansia e depressione. Queste pratiche, oltre a essere eticamente discutibili, sollevano dubbi sulla validità dei risultati ottenuti.
Le denunce di Brian Gunn hanno avuto un impatto significativo nel sensibilizzare l’opinione pubblica e nel promuovere un dibattito etico sulla sperimentazione animale. Le sue testimonianze hanno contribuito a spingere per l’adozione di metodi alternativi più etici e scientificamente validi, come i modelli in vitro, le simulazioni al computer e l’uso di organi su chip.
Gunn ha anche collaborato con organizzazioni e attivisti per promuovere campagne di sensibilizzazione e per spingere le istituzioni a rivedere le normative sulla sperimentazione animale.
Una pratica ancora diffusa
Ogni anno, milioni di animali vengono utilizzati nei laboratori di tutto il mondo. Secondo i dati più recenti, nel solo 2024, in Italia, sono stati impiegati oltre 482.000 animali nella ricerca scientifica. La maggior parte sono roditori, ma non mancano cani, conigli e persino primati.
Tra il 2019 e il 2022, si stima siano stati impiegati 2.323 cani in test invasivi. A livello europeo, i numeri sono ancora più allarmanti: oltre 8,3 milioni di animali vengono utilizzati ogni anno per scopi sperimentali, a cui si aggiungono 9,6 milioni di animali allevati e poi soppressi senza essere mai stati impiegati.
Ma cosa significa “sperimentazione animale”? Si tratta di un insieme di pratiche che includono test tossicologici, sperimentazioni chirurgiche, esposizione a sostanze cancerogene, mutilazioni, impianti, isolamento e privazione sensoriale.
In molti casi, gli esperimenti avvengono senza anestesia o con l’applicazione della cosiddetta pratica del non risveglio, nella quale l’animale, una volta anestetizzato, non viene più riportato in vita.
Secondo le classificazioni ufficiali, oltre il 50% degli esperimenti rientra nelle categorie di sofferenza moderata o grave. La sofferenza moderata implica dolore transitorio, mentre quella grave comprende trattamenti senza anestesia e con esiti permanenti, sia fisici che psicologici.
Un passato radicato, un presente controverso
La sperimentazione animale non è un fenomeno moderno. Le sue radici affondano nei secoli: già Galeno, medico dell’antica Roma, sezionava animali per studiarne l’anatomia. Nel XVII secolo, René Descartes definiva gli animali “macchine”, incapaci di provare dolore reale, poiché privi di anima.
Questa visione meccanicistica ha giustificato per secoli pratiche di estrema crudeltà. Nel XIX secolo, la vivisezione veniva eseguita pubblicamente anche in ambito accademico. Soltanto nel Novecento sono emerse le prime proteste organizzate, da figure come Anna Kingsford, tra le prime mediche inglesi e fervente antivivisezionista.
Oggi la riflessione etica è più centrale che mai. Autori come Peter Singer, nel suo libro Liberazione animale, hanno teorizzato il concetto di specismo, ovvero la discriminazione degli esseri viventi sulla base della specie.
Il filosofo Tom Regan ha spinto oltre: se gli animali hanno una vita mentale complessa, allora hanno diritti morali intrinseci, e non dovrebbero mai essere trattati come mezzi per fini umani.
In questo contesto, la domanda non è più “Quanto soffrono?”, ma “È giusto farli soffrire anche se esistono alternative?”.
Nel tempo, alcuni casi hanno fatto emergere la realtà di questi laboratori: Freddie, un beagle liberato da un centro sperimentale britannico, è diventato il simbolo della resistenza antivivisezionista.
In Italia, la campagna contro Green Hill, allevamento di cani destinati alla sperimentazione, ha portato a una sentenza storica nel 2015, con la condanna dei responsabili per maltrattamento.
Esistono alternative valide? Sì, e sono sempre più efficaci e in continua evoluzione, tra cui:
- Organi su chip: dispositivi microfluidici che simulano l’attività di organi umani. • Modelli in vitro: colture cellulari e tessuti ricostruiti in laboratorio. • Simulazioni al computer: modelli predittivi per testare farmaci. • Intelligenza artificiale: per simulare risposte biologiche complesse.
Negli Stati Uniti, il FDA Modernization Act 2.0 del 2022 ha eliminato l’obbligo di test animali prima della sperimentazione clinica. In Europa, l’EFSA promuove da anni soluzioni alternative.
L’opinione pubblica è pronta al cambiamento
Anche i cittadini possono agire: sostenere la ricerca etica, scegliere prodotti cruelty free, firmare petizioni, partecipare a campagne pubbliche.
Loghi affidabili come Leaping Bunny e Choose Cruelty-Free aiutano a identificare prodotti non testati su animali.
Educare le nuove generazioni a una scienza etica è essenziale. Alcune università italiane (come l’Università di Genova) hanno già abbandonato l’uso di animali in aula, sostituendoli con software interattivi, modelli 3D e simulatori realistici.
Progetti scolastici e laboratori didattici cruelty-free sono ormai realtà anche in molte scuole superiori. Abbiamo oggi gli strumenti per cambiare: ciò che manca è la volontà politica e civile. Nessun essere vivente dovrebbe soffrire in nome del progresso, quando esistono alternative efficaci.
Ogni passo verso un mondo cruelty-free è un passo verso un’umanità più giusta, più moderna, più consapevole.
Hashtag da usare:
#WorldDayForAnimalsInLaboratories
#StopAnimalTesting
#CrueltyFree
#ScienzaEtica
#EndAnimalExperiments
Una scienza etica è possibile, quando si parla di veganismo, spesso si pensa solo all’alimentazione. Ma il veganismo è, prima di tutto, una filosofia etica che si oppone allo sfruttamento animale in ogni ambito: cibo, abbigliamento, intrattenimento e, naturalmente, ricerca scientifica.
Da qui nasce il concetto di veganismo scientifico, una corrente che si propone di integrare etica e innovazione, rifiutando pratiche sperimentali che causano sofferenza agli animali. Il veganismo scientifico si basa sull’idea che i progressi medici, farmacologici e biologici non debbano necessariamente passare attraverso la sofferenza animale.
Molte startup e centri di ricerca – come Emulate, MatTek, e il Wyss Institute di Harvard – hanno già dimostrato che questi metodi possono sostituire i test sugli animali con risultati più rilevanti per l’uomo.
Eppure, molte aziende famose continuano pratiche discutibili. Marchi come Pantene, Nivea, Balenciaga e Dolce & Gabbana sono stati accusati di violare standard etici, alimentando un mercato ancora privo di regole certe.
L’ipocrisia normativa e il caso Symrise
Nel 2023, la Corte di Giustizia dell’UE ha respinto il ricorso della multinazionale Symrise, costretta a condurre test su animali per ingredienti destinati a prodotti cosmetici. Una decisione che ha contraddetto il divieto europeo del 2013.
Secondo Cruelty Free Europe, è “una sconfitta per l’etica e il progresso scientifico”. E ha riaperto il dibattito sulla necessità di una legislazione più coerente e rigorosa.
Le associazioni come Save Cruelty Free Cosmetics propongono una roadmap concreta:
- Rafforzare le leggi esistenti.
- Educare i cittadini a riconoscere i loghi affidabili.
- Promuovere giornate d’azione pubblica.
- Produrre materiale divulgativo accessibile.
- Costruire una rete tra cittadini, media, scienziati e istituzioni.
Normative internazionali a confronto
- India ha vietato i test nel 2013.
- Nuova Zelanda ha introdotto il divieto nel 2015.
- Brasile, Corea del Sud, Taiwan, Sudafrica hanno leggi in corso di approvazione.
- Negli Stati Uniti, alcuni stati come California e New York vietano i cosmetici testati su animali, ma non esiste un divieto federale.
Va ricordato che queste norme si applicano solo al settore cosmetico. La sperimentazione animale per scopi medici o chimici è ancora largamente diffusa, anche in Europa.
Nel dibattito globale sulla sperimentazione animale, un ruolo chiave è svolto da organizzazioni internazionali come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) e l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). Sebbene non tutte abbiano un mandato specifico in materia, molte influenzano direttamente le politiche sanitarie, scientifiche ed etiche degli Stati membri, soprattutto nei settori della ricerca e della regolamentazione.
OMS :
L’Organizzazione Mondiale della Sanità, pur non avendo emesso un divieto esplicito della sperimentazione animale, promuove da anni la validazione di metodi alternativi nei protocolli di sicurezza e tossicologia. Le sue linee guida raccomandano l’uso del principio delle 3R (Replacement, Reduction, Refinement), sviluppato negli anni ’50, che suggerisce:
- Sostituzione degli animali con metodi alternativi.
- Riduzione del numero di animali impiegati.
- Perfezionamento delle pratiche per limitare dolore e sofferenza.
In alcuni suoi rapporti recenti, l’OMS ha sottolineato come le nuove tecnologie in vitro e in silico possano migliorare l’efficacia dei test e ridurre l’uso di modelli animali superati. Tuttavia, il passaggio a una scienza cruelty-free non è uniforme tra i Paesi membri, e resta subordinato alla volontà politica e alla disponibilità di risorse.
OCSE:
L’OCSE, attraverso il suo programma di sicurezza chimica, è uno degli attori più influenti nello sviluppo e nella validazione di metodi di prova alternativi. La sua serie di “Test Guidelines” (linee guida per i test) è adottata a livello internazionale come standard di riferimento per le aziende farmaceutiche, cosmetiche e chimiche.
Negli ultimi anni, l’OCSE ha incluso numerosi metodi non animali nelle sue linee guida ufficiali. Ad esempio, sono stati accettati test su modelli di pelle umana ricostruita per valutare l’irritazione cutanea o test di citotossicità in vitro per analizzare la tossicità cellulare.
Questi protocolli validati, una volta adottati, devono essere accettati anche da enti regolatori nazionali, riducendo la necessità di ripetere esperimenti sugli animali in ogni Paese. È un passo concreto verso una scienza condivisa e responsabile.
ONU:
Sebbene l’Organizzazione delle Nazioni Unite non abbia un’agenzia dedicata esclusivamente alla protezione animale, il tema è sempre più presente in molte delle sue iniziative, in particolare in relazione agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG). In particolare:
- SDG 12 (Consumo e produzione responsabili) invita alla riduzione delle sostanze chimiche pericolose e al miglioramento delle pratiche produttive, incoraggiando metodi di test meno impattanti.
- SDG 3 (Salute e benessere) include anche il benessere animale, riconoscendo che la salute umana è strettamente connessa a quella degli animali (concetto di One Health).
Diverse agenzie dell’ONU, tra cui il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) e l’UNESCO, hanno espresso interesse crescente per il tema dell’etica nella scienza, aprendo spazi per discussioni su legislazioni più eque e su una transizione globale verso pratiche non cruente.
Un futuro possibile: scienza senza crudeltà
Negli ultimi decenni, sono nati anche consorzi internazionali che mettono in rete istituzioni pubbliche, università e industrie per accelerare lo sviluppo di metodi alternativi. Tra questi:
- Il Joint Research Centre dell’Unione Europea (JRC), che promuove la ricerca sui metodi non animali.
- Il Centre for Alternatives to Animal Testing (CAAT) della Johns Hopkins University, che lavora in partnership con la Commissione Europea.
- L’International Cooperation on Alternative Test Methods (ICATM), che coordina gli sforzi tra USA, UE, Canada, Giappone, Corea del Sud e Brasile.
Chiara Santanna V^F – Istituto Liceo Artistico Enrico Greco – Catania (CT)
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