QUESTO ARTICOLO FA PARTE DEL CONCORSO DIVENTA GIORNALISTA, RISERVATO AGLI STUDENTI DELLE SCUOLE SUPERIORI DELLA PROVINCIA DI CATANIA.
Conoscete il gatto di Schrödinger? La legge secondo cui un gatto è allo stesso tempo sia vivo che morto fino all’apertura della scatola, e quindi l’effettiva determinazione tangibile dello stato dell’animale.
Che sia nato a Roma nel Gennaio del ‘19 e che si sia spento, nella stessa capitale, durante il Maggio del 2013 sono forse tra le pochissime informazioni sicure che ad oggi abbiamo su Giulio Andreotti.
Gli esordi in politica sono datati 1938, Andreotti aderirà alla FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) mosso da un intimo antifascismo e da una vicinanza al cattolicesimo, nonostante (secondo Montanelli) gli premesse più parlare coi preti, in quanto votanti, che con Dio stesso. Conoscerà proprio in questi anni alcuni tra i futuri importanti esponenti della DC.
“A parte le guerre puniche, mi viene attribuito veramente di tutto” dirà l’onorevole al termine del processo che lo identificava come affiliato alla mafia.
Processo finito in prescrizione per mancanza di adeguate leggi e talvolta di effettivamente schiaccianti prove.
Famoso è proprio il contesto storico della Prima Repubblica, costellato di crimini perpetrati da associazioni a delinquere e/o di stampo stragista.
Chi si fece oppositore di queste ingiustizie fu ad esempio Piersanti Mattarella: pagò con la vita la presa di posizione avversa al corleonese Vito Ciancimino. Andreotti si fece mediatore delle volontà di Cosa Nostra dialogando di fatto con i mafiosi, sì cercando di preservare l’incolumità del presidente della Regione Sicilia ma non muovendosi secondo le logiche istituzionali, per preservare i rapporti amichevoli con il Clan.
Nel Marzo del ‘79 toccò a Mino Pecorelli, vigliaccamente giustiziato all’interno della sua macchina. Il fondatore de “L’Opinione Politica” minacciava di sapere troppo sull’ancora oggi irrisolto “caso Moro” e di voler diffondere il tutto al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Proprio il generale finì invece crivellato di colpi, abbandonato al proprio destino dalle istituzioni, assieme a moglie e agente di scorta. I funerali furono di grande rilievo: vi presenziarono alcune tra le più importanti figure dello stato, ma non Andreotti. “Preferisco andare ai battesimi”, questa la sua vergognosa giustificazione.
Questi fatti da me narrati ci collegano naturalmente ad Aldo Moro ed un sogno italiano, chiamato “compromesso storico”, sfumato la mattina stessa del giorno che avrebbe dovuto rappresentare invece il suo coronamento. Moro venne rapito dalle brigate rosse e fatto prigioniero per cinquantacinque giorni, al termine dei quali venne fatto rinvenire, ormai morto sotto i colpi d’una mitraglia, all’interno di un bagagliaio.
La sua mancata liberazione, secondo Imposimato, rappresenterebbe la volontà dell’onorevole e contigui.
Andreotti portò ogni segreto in tomba con lui. Ad oggi le domande sono tante, ma la risposta è solo una: “La mafia è una montagna di merda”.
Miraglia Antonio V^ DS – Istituto Concetto Marchesi – Mascalucia (CT)
[ratemypost]