QUESTO ARTICOLO FA PARTE DEL CONCORSO DIVENTA GIORNALISTA, RISERVATO AGLI STUDENTI DELLE SCUOLE SUPERIORI DELLA PROVINCIA DI CATANIA.
Lo conosciamo tutti, no? Conosciamo tutti il vuoto della solitudine. Quella sensazione che ti impedisce di reagire e che ti obbliga ad osservare impotente il mondo che scorre davanti ai tuoi occhi. Perché è questo ciò che ci fa paura: non rimanere soli, ma sentirci soli.
Tutto quello che sentiamo, si riduce a un misero silenzio.
Edward Hopper, pittore e illustratore statunitense, è riuscito a dipingere il silenzio in una delle sue opere più significative: I nottambuli, del 1942.
È notte a New York, l’America è scossa dal recente attacco di Pearl Harbor.
Quattro estranei, colti dall’insonnia, si ritrovano in un diner, fisicamente vicini ma emotivamente distanti anni luce.
Lo spettatore osserva la scena dall’esterno, senza alcuna volontà di accesso al locale.
La luce dell’interno si riversa sulle strade della grande mela, senza offrire conforto né a chi è dentro né a chi è fuori.
Due uomini, un barista e una donna dai capelli rossi.
Il primo dei due è di spalle, assorto e indifferente a chi lo circonda.
Il barista è lì per dovere, ma il suo sguardo, l’unico a essere sollevato, è rivolto a sinistra verso l’esterno, perso in ricordi lontani.
Ma le figure più emblematiche sono il secondo uomo e la donna:
i due sono vicini e compiono i loro normali gesti. Entrambi hanno il volto scavato da chissà quali preoccupazioni; vi è però un dettaglio fondamentale: le mani dei due sembrano toccarsi, un contatto mancato che ci da ancora più contezza del distacco emotivo tra i personaggi.
Ed è questa l’essenza dell’opera: il paradosso della solitudine nella città che “non dorme mai”, l’incapacità di trovare conforto l’uno negli altri.
Hopper immortala il frastornante silenzio di chi desidera aiuto ma non riesce a chiederlo perché intrappolato in se stesso.
L’egoismo che, senza rendercene conto, ci distoglie dagli altri, mentre paure e ansie sono spesso le medesime.
In tempi non sospetti l’artista è riuscito a spiegare ciò che la nostra società vive costantemente: un profondo e all’apparenza incolmabile distacco gli uni dagli altri, la paura e la mancanza di fiducia che ognuno di noi prova verso chi ci sta a fianco, estraneo o meno che sia.
Convinti che mostrare le proprie emozioni e sentimenti, paure e pensieri possa renderci deboli e vulnerabili.
Ci isoliamo, prendiamo le distanze da tutto e tutti rifugiandoci nei social, luogo in cui non ci sentiamo giudicati, ma riconosciuti.
Ognuno coi propri demoni e inquietudine, barricato nel suo mondo.
Siamo divisi da ciò che, paradossalmente, ci collega.
Viviamo in un mondo frenetico, dove pochi sono propensi all’ascolto o anche semplicemente ad osservare le diverse sfumature del cielo durante le stagioni.
Hopper si rivolge a noi raccontandoci una storia che conosciamo bene: Il silenzio della notte, l’insonnia, la stanchezza di chi finge di esser forte e maturo, la paura del futuro.
Ci vergogniamo di tutto questo, eppure quei quattro volti senza nome non sono altro che il riflesso di ognuno di noi.
Martina Scrofani 3^BSU – Istituto Ettore Majorana – San Giovanni La Punta (CT)