Il teorico universalismo del servizio sanitario, in verità mai compiuto, oggi può di certo definirsi parziale, con accesso a diagnosi e cure ridotto ed in rapporto alla condizione sociale delle persone.
La sanità pubblica come noto è stata sempre più definanziata con sempre maggior ingerenza della politica la quale ha affidato le già scarse risorse a manager che sembrano essere stati tecnicamente prescelti per svuotare l’autonomia delle professioni sanitarie, limitando, di fatto, la libertà di curare sulla base di una prioritaria sostenibilità del sistema.
Fasce sempre più larghe della popolazione vedono ridotto l’accesso alle cure con oggettiva limitazione di un diritto costituzionalmente garantito.
Ne consegue un accesso ridotto alla diagnosi ed alle migliori cure possibili con particolare riferimento alle regioni nelle quali stato sociale ed economico si trovano ai minimi termini.
In pratica ci si trova in una condizione nella quale chi sta meglio si ammala di meno vivendo più a lungo.
Risulta essere ormai sufficientemente dimostrato che pochi mezzi di sostentamento hanno effetto sfavorevole sulla tutela della salute da cui deriva che una ancora persistente iniquità sociale contribuirà sempre più a danneggiare i meno abbienti ,non in grado di sostenere le spese necessarie per avvalersi delle migliori e tempestive cure.
Ruolo negativo esercita anche la scarsa cultura sanitaria con conseguenti deficit seri in tema di prevenzione oltre che di diagnosi precoce e cure.
Proteggere le fasce deboli della popolazione non deve né può restare un desiderio od una illusione di pochi idealisti fuori dalle regole del mondo attuale, imperativo è muoversi tutti insieme per evitare che continuino a curarsi meglio, come accade ancora oggi coloro i quali di fatto hanno meno bisogno.