La legge Balduzzi, 189 dell’8 novembre 2012, all’articolo prevede il riassetto dell’assistenza territoriale, snodo decisivo per una gestione efficace del territorio. Si decide di superare con questa legge la dicotomia dell’offerta sanitaria che prevede da un lato l’ospedale e dall’altro il territorio, con linguaggi diversi ed obiettivi non coincidenti ed una difficile, a volte impossibile collaborazione. La norma chiarisce che questa situazione deve cambiare sostituendo la incomunicabilità con la continuità ospedale territorio in un contesto in cui si inseriscono le cure intermedie fra territorio ed ospedale, con la lungo degenza, la riabilitazione, l’ospedale di comunità, la casa della salute ed altro.
Sul piano organizzativo sono previste due forme associative di cui una mono professionale definita a.f.t. costituita da m.m.g. E p.l.s., e le multi professionali o U.c.c.p. Unità complesse di cure primarie, con poliambulatori territoriali, dove convergono più figure professionali. Il modello funziona solo se condiviso, con la integrazione delle varie figure professionali, con il dialogo, attraverso percorsi formativi adeguati, abolendo la attuale frammentazione degli interventi.
L’organizzazione della medicina generale dovrà transitare dall’attesa alla iniziativa, con promozione attiva della salute, coinvolgimento del malato e del sano, valorizzazione delle reti sociali. Questi cambiamenti sono fondamentali per le malattie croniche e per la gestione delle comorbilità nei soggetti anziani. La vera sfida per il futuro è la sostenibilità del servizio sanitario nazionale nella gestione delle cronicità, considerato l’allungamento della vita media, l’aumento considerevole degli anziani, con crescente incremento delle malattie croniche. Ad oggi in Sicilia tale fenomeno non è stato governato correttamente, viste le risposte frammentate, non di sistema, parziali e non esaustive nella logica della attesa delle riacutizzazioni e delle complicanze, evoluzione per il mancato controllo della progressione delle malattie croniche.
Non è possibile, in tal modo, cambiare la storia naturale delle malattie, rallentandone o bloccandone l’evoluzione. Il costo sociale ed economico di questo tipo di azione è enorme, per cui non meraviglia l’eccesso di consumo di risorse. Transitare organizzativamente in una diversa modalità di azione della medicina generale, come realizzato altrove, è indifferibile. Anche in considerazione della mancata percezione del bisogno sanitario o per il rifiuto di considerarsi malato si determina un ulteriore aggravamento della situazione tanto da essere considerato non procrastinabile il nuovo metodo attivo di gestione dei malati cronici. Si dovranno presto stabilire con gli specialisti ambulatoriali i percorsi di diagnosi, terapia ed assistenza per meglio definire i bisogni delle persone malate.
Dobbiamo essere all’altezza del compito e della sfida rimodulando insieme la gestione dei malati cronici. Occorre dotarsi di sistemi organizzativi e modelli a supporto di attività condivise per garantire la migliore assistenza in un sistema a rete con specialisti ambulatoriali ed ospedalieri a seconda del livello di competenze. Il medico di famiglia non può permettersi il lusso di delegare ad altri sue competenze esclusive. Rilanciare il modello operativo, quindi, per essere realmente il motore della organizzazione territoriale. Dobbiamo recuperare il tempo per le attività cliniche delegando la burocrazia ad un necessario, formato, supporto amministrativo. Più tempo clinico al medico di famiglia migliorando la organizzazione del lavoro, spostando ad altri le incombenze burocratiche, sostenendo in tal modo la professione medica.
Il cambiamento del contesto sociale, la riduzione dei posti letto ospedalieri, la necessità della presa in carico nel territorio del malato cronico, complesso e fragile, determina un cambiamento delle modalità operative della medicina generale. Insieme al modello occupiamoci anche dell’uomo, del professionista, capitale strategico e prezioso del sistema, fondamentale per la diagnosi, terapia ed assistenza all’uomo malato. Fondamentale interagire, applicare le conoscenze e le singole capacità, producendo in maniera coordinata ed integrata i necessari servizi alla persona sofferente.
Inscindibile il legame fra cultura, formazione, organizzazione e lavoro. Si dovrà prendere atto delle esperienze di tutti, dovremo aumentare la consapevolezza e favorire la trasformazione delle nostre personali esperienze in conoscenze comuni. Non è più tempo di attendere ma di agire, definiamo la rete integrata per la gestione dei malati cronici, con procedure e responsabilità. Non è possibile continuare ad ignorare la necessità di cambiamenti culturali ed organizzativi, senza considerare che il medico di famiglia manifesta ormai un profondo disagio non riuscendo a valorizzare le sue conoscenze professionali in un sistema che non gli consente tale possibilità per le regole stringenti, che valgono solo per lui e per gli enormi oneri amministrativi.
Il ruolo dei distretti, ad oggi non ben espresso, viene riaffermato dal recente patto per la salute che stabilisce la centralità programmatoria in sinergia con la medicina generale. Distretto volano della integrazione degli attori del servizio, assistenza primaria parte fondante ed ineludibile, considerando che non c’è cura primaria senza medicina di famiglia. Non si può più intervenire nel cronico in maniera frammentata, inefficace e costosa, non possiamo più agire solo in corso di riacuzie e conseguenti ospedalizzazioni. Al di là degli elevatissimi costi sanitari ci sono altrettanto importanti costi sociali, con anziani che da risorsa diventano fardello e peso per le famiglie.
Cambiare la metodologia di intervento consente un miglior uso delle risorse, con migliori risultati in termine di salute e minore incidenza nel tempo di disabilità nei malati cronici. Riorganizziamoci in maniera contestualizzata nelle singole realtà aziendali, ne vedremo presto i risultati.