Malattia emorroidaria

Malattia emorroidaria

Prof. Diego Piazza

Anche se il disturbo è comunemente conosciuto come “emorroidi” è più corretto parlare di malattia emorroidaria, in quanto le emorroidi, in realtà, sono presenti in qualunque organismo sano: si tratta di piccoli cuscinetti di tessuto spugnoso ed estremamente vascolarizzato, posti nel canale anale, il cui compito è favorire una evacuazione fisiologica e un’adeguata continenza delle feci e dei gas; la malattia emorroidaria si presenta invece quando a causa di fenomeni degenerativi dei tessuti e dei mezzi di sostegno naturale degli stessi il tessuto prolassa progressivamente verso l’esterno. Si stima che ne soffra almeno il 50% della popolazione adulta, in un range di età compresa tra i 45 ed i 65 anni, con una simile distribuzione tra popolazione maschile e femminile.

Nelle donne esiste un picco d’incidenza legato alla gravidanza (diversi fattori possono influenzare la comparsa o l’aggravamento di questa patologia in particolare l’aumento della pressione intraddominale durante la gestazione). Vi è una predisposizione ereditaria al prolasso e, molto probabilmente, influisce una alimentazione povera di acqua e l’incompleto rilasciamento degli sfinteri anali, durante l’evacuazione. L’incompleto rilasciamento sfinteriale ha cause psicologiche, pertanto lo stress è un fattore importante in questa malattia.

In base alla tendenza a fuoriuscire all’esterno, ovvero al PROLASSO, le emorroidi vengono classificate in quattro stadi: • Di I grado, in assenza di prolasso; a questo stadio le emorroidi, che non fuoriescono e spesso non causano dolore, non sono osservabili esternamente ed il sintomo più comune è la perdita di sangue alla defecazione; • Di II grado, in presenza di moderato prolasso, visibile solo sotto sforzo, che tende a rientrare spontaneamente; a questo stadio sintomi comuni sono il dolore e prurito durante la fase dell’evacuazione oltre al sanguinamento; • Di III grado, quando il prolasso è più evidente ma esiste la possibilità di far rientrare manualmente le emorroidi prolassate; • Di IV grado, in presenza di prolasso permanente non riducibile neanche manualmente, con sintomi possibili quali l’intenso dolore e mucosa anale tumefatta.

Quando le emorroidi sono giunte all’ultimo stadio e sono, dunque, definitivamente prolassate, possono sorgere più comunemente complicanze, come la formazione di coaguli di sangue al loro interno: si parla, in questo caso, di trombosi emorroidaria, che può portare anche alla rottura del gavocciolo emorroidario interessato, causando un sanguinamento significativo.

La malattia emorroidaria è caratterizzata da numerosi sintomi che possiamo distinguere in due gruppi principali. Al primo gruppo appartengono le complicanze del tessuto vascolare emorroidario; sono l’edema e la trombosi emorroidaria: si tratta generalmente di complicanze acute che si manifestano con gonfiore, edema ed impossibilità di fare rientrare le emorroidi nel canale anale. Sono complicanze cicliche, spesso conseguenti a stress psichico, che si risolvono quasi sempre spontaneamente o con l’aiuto di antiedemigeni ed impacchi; altre volte, ma molto raramente, il quadro evolve verso il cosiddetto strangolamento emorroidario che può condurre alla gangrena delle stesse emorroidi. Tranne che in quest’ultimo caso è sempre da evitare l’intervento chirurgico urgente che è gravato da più complicanze. La presenza di dolore in caso di malattia emorroidaria è legata ad una complicanza della malattia emorroidaria detta trombosi. Le emorroidi non sono dolorose ma possono diventarlo quando si trombizzano: si gonfiano, escono all’esterno dell’ano e diventano dure e sensibilissime (trombosi emorroidaria).

Al secondo gruppo appartengono i sintomi causati dal prolasso della mucosa rettale verso l’esterno con fuoriuscita incontrollata di muco rettale. Il paziente ha il disagio di sporcare la biancheria intima, inoltre il muco può causare una fastidiosa dermatite batterica perineale con bruciore e prurito. Un discorso particolare merita il sanguinamento rettale. Il sanguinamento rettale si manifesta quasi sempre durante la evacuazione. Talvolta la frequenza e l’abbondanza è tale da causare una severa anemia. I pazienti con sanguinamento anale devono consultare in ogni caso uno specialista perchè si deve escludere che il sanguinamento non sia dovuto ad altre malattie intestinali. La visita specialistica proctologica completata dall’anoscopia e dalla rettoscopia spesso è in grado di porre diagnosi di malattia emorroidaria; a volte sono necessari esami strumentali ulteriori quali il clisma opaco a doppio contrasto (radiografia del colon) o la pancolonscopia (esame endoscopico che consente la visione diretta di tutto il colon-retto) per escludere la presenza di patologie concomitanti. Altri esami possono infine essere necessari in condizioni particolari (ad esempio la manometria anorettale o l’ecografia anale).

Una volta effettuata una corretta diagnosi, la malattia emorroidaria va trattata in primo luogo correggendo lo stile di vita se scorretto e, quando indicato, associando all’adozione di abitudini alimentari più sane un trattamento farmacologico. Solo le emorroidi la cui sintomatologia persiste dopo aver adottato tutte queste misure possono richiedere l’intervento del chirurgo. Nei casi più lievi i sintomi delle emorroidi possono essere alleviati modificando lo stile di vita e adottando alcune semplici abitudini: regolarizzazione della funzione intestinale e dello sforzo durante l’evacuazione: mantenere le feci morbide e non sforzarsi nell’atto dell’evacuazione, limitando il tempo del ponzamento a pochi minuti. Aumentare l’assunzione di fibre alimentari: frutta e verdure, alimenti integrali; bere sufficienti quantità di liquidi durante il giorno (almeno 1,5 – 2 litri). Se necessario assumere integratori di fibre, quali Psillio, crusca, etc. Un maggiore apporto di fibre e di liquidi è utile per correggere la stipsi, ammorbidire le feci e quindi ridurre lo sforzo defecatorio. Una regolare attività fisica stimola la funzionalità dell’intestino e previene la stitichezza.

Terapia medica: unguenti, creme e supposte. Esistono diverse preparazioni e specialità farmaceutiche di uso corrente. Esse non “curano” le emorroidi, ma possono alleviare sintomi quali dolore e prurito: Alcuni preparati che contengano anestetici locali (quali lidocaina) sono utili in caso di dolore: essi dovrebbero essere usati solo per breve periodo (5-10 giorni) poiché possono causare irritazione o sensibilizzazione, se usati a lungo. Preparati topici che contengano corticosteroidi possono essere prescritti dal medico in caso di infiammazione. Ridurre l’infiammazione può essere utile per mitigare il bruciore ed il prurito. Anche questi preparati non vanno usati per lungo tempo. Medicamenti per via orale quali flavonoidi semi sintetici possono essere utili per migliorare il tono venoso, diminuire la permeabilità vascolare e l’infiammazione.

Si può affermare, con buon accordo della comunità scientifica, che in caso di malattia emorroidaria di 3° e 4° grado è possibile ipotizzare un trattamento chirurgico volto alla risoluzione dei sintomi. Si distinguono metodi parachirurgici o ambulatoriali e metodi chirurgici. Le procedure parachirurgiche sono praticate negli stadi iniziali della malattia emorroidaria sintomatica. Le procedure più comuni sono la legatura elastica e la scleroterapia iniettiva. La Legatura elastica consiste nel posizionamento di un laccio elastico di gomma alla base del gavocciolo emorroidario, ottenendo lo strangolamento di quest’ultimo. Questo provoca l’arresto dell’apporto ematico al gavocciolo emorroidario, il quale va incontro a necrosi e a caduta nel corso di qualche giorno. Il tessuto alla base delle emorroidi, quindi, va incontro a cicatrizzazione.

La scleroterapia è un’alternativa alla legatura elastica. Il fine di questa metodica è quello di realizzare una cicatrice fibrosa in seguito alla reazione infiammatoria indotta da una sostanza sclerosante. Questo processo porta ad una riduzione dell’afflusso di sangue al gavocciolo emorroidario riducendone il volume e ad una fissazione della mucosa agli strati sottostanti, riducendo l’entità del prolasso. Le tecniche chirurgiche tradizionali consistono nella rimozione dei pacchetti emorroidari, con legatura chirurgica alla base di esse. Queste tecniche, se ben praticate, sono efficaci e risolutive, poiché rimuovono i cuscinetti interni e i pacchetti emorroidali esterni. Tuttavia tali tecniche risultano abbastanza dolorose nel periodo postoperatorio poiché lasciano nella zona perianale tre ferite che provocano dolore durante l’evacuazione.

Le tecniche di emorroidectomia più praticate, sono quella secondo Milligan-Morgan e quella secondo Ferguson. Nella Milligan-Morgan le ferite conseguenti all’intervento vengono lasciate aperte affinché avvenga una cicatrizzazione spontanea. Nella Ferguson, le ferite vengono chiuse con una sutura continua. Le complicanze sono abbastanza rare, ma possono essere severe, quali stenosi anale, emorragia a distanza, incontinenza di vario grado. Le moderne tecniche chirurgiche comprendono l’emorroidopessi con suturatrice meccanica e la dearterializzazione emorroidaria trans anale. Lo sviluppo della prima tecnica è stato il primo tentativo di risolvere il problema delle emorroidi prolassate senza asportazione o legatura di tessuto emorroidario. La tecnica, sviluppata dal dr. Longo negli anni ’90, si avvale di una suturatrice meccanica ed è meno dolorosa e più “fisiologica” delle emorroidectomie tradizionali in quanto non asporta i cuscinetti emorroidali ma interviene direttamente sul prolasso, causa primaria della malattia emorroidaria. La dearterializzazione emorroidaria transanale è la meno invasiva tra le tecniche chirurgiche per il trattamento delle emorroidi, in quanto non comporta l’asportazione di tessuto, ma solamente l’applicazione di punti di sutura interni, sulla mucosa rettale, in un’area insensibile al dolore. Questa tecnica di chirurgia per le emorroidi utilizza un apposito proctoscopio e una sonda Doppler che consentono la localizzazione dei rami terminali dell’arteria rettale superiore e la loro successiva legatura con punti di sutura. In caso di prolasso, alla legatura dei rami dell’arteria rettale superiore si associa una pessia, ovvero il riposizionamento della mucosa nella sua sede naturale.