L’attività fisica nel bambino con cardiopatia congenita

La Letteratura Scientifica Internazionale dimostra gli indubbi effetti positivi, psicologici ed emodinamici, dell’attività fisica nei bambini affetti da malformazioni cardiache.

L’attività fisica ludico-addestrativa rappresenta un momento delicato ed importante della vita, durante il quale il bambino socializza, prende coscienza del proprio fisico e sperimenta la competitività, presupposti, questi, propedeutici allo sport “organizzato”, finalizzato all’agonismo.

È assioma consolidato che l’attività sportiva migliora la capacità funzionale cardiocircolatoria e, sul piano psicologico, migliora la fiducia in se stessi e nei propri mezzi.

Tale concetto quanto mai valido nei bambini operati per una malformazione congenita cardiaca, che per paure spesso ingiustificate da parte dei genitori e/o degli istruttori di educazione fisica, vengono emarginati dai coetanei e in genere, dalla società che li circonda. Si è creata, in ultima analisi, una popolazione di bambini nei quali viene imposta la sedentarietà, anticamera al sovrappeso o all’obesità e a tutte le malattie ad essi correlati (ipertensione arteriosa, diabete).

Occorre sfatare questo tabù. La letteratura internazionale è ormai ricca di studi scientifici su larga scala che dimostrano chiaramente che la possibilità di iniziare o continuare un’attività fisica consente al bambino cardiopatico un “recupero psicologico” e dall’altro la possibilità di un “recupero emodinamico”. Esercizi mirati in intensità e frequenza, apportano un miglioramento delle performance anche in presenza di quadri anatomici malformativi complessi.

I progressi della cardiochirurgia hanno reso possibile la cura di moltissime cardiopatie congenite, consentendo a molti bambini di raggiungere l’età adolescenziale e in moltissimi casi, l’età adulta, momenti nei quali il desiderio di inserirsi in un contesto di “normalità” (vita di relazione, sport, gravidanza, etc.) è quanto mai sentito.

Ma affinchè un bambino, o più generalmente, un paziente in età pediatrica, possa affrontare l’attività fisica o uno sport, in piena sicurezza, occorre un’attenta valutazione sia del quadro malformativo di “base” che delle eventuali sequele che l’intervento terapeutico produce, sia a breve periodo che a distanza. È necessario innanzitutto precisare che non tutte le malformazioni cardiache possono essere curate in modo definitivo, radicale. In alcuni casi infatti, si può eseguire solo una “riparazione” della malformazione, spesso dopo diversi interventi chirurgici.

Per ben chiarire questo concetto dobbiamo ricordare che le cardiopatie congenite, vengono classicamente distinte in “semplici” e “complesse”, intendendo per “semplici” quelle forme nelle quali il trattamento terapeutico, sia esso chirurgico che cardiologico interventistico, è generalmente definitivo, preservando l’anatomia normale e soprattutto, un modello circolatorio in cui sono presenti due “pompe ventricolari” (“fisiologia biventricolare”).
Di converso le forme “complesse” possono richiedere in epoca neonatale un intervento temporaneo “salva-vita”, palliativo, seguito da uno o più interventi che mirano a ristabilire una fisiologia “biventricolare” o nei casi in cui ciò non fosse possibile, sfruttare una sola pompa ventricolare (“fisiologia mono-ventricolare”) .

Tale classificazione, utile per grandi linee, presenta alcuni limiti che devono essere tenuti in conto da chi ha in cura il bambino e a tal fine è quanto mai utile la collaborazione fra il Pediatra/Medico di Famiglia ed il Cardiologo Pediatra.

Innanzitutto il termine “cardiopatia semplice” deve essere riservato ad alcuni quadri anotomo-fisio-patologici ben definiti. Ad esempio alcune malformazioni cardiache definite “semplici, quali per es. la stenosi (restringimento) aortica su valvola bicuspide (valvola formata da due lembi e non da tre) o talune forme di coartazione aortica (retringimento dell’aorta), possono con il passare degli anni, determinare delle alterazioni anatomiche (dilatazione dell’aorta ascendente) o emodinamiche (aumento della pressione intraventricolare o di quella sistemica), legate alla crescita corporea o ai restringimenti legati alla retrazione fibrosa delle cicatrici.

Alcuni interventi chirurgici che utilizzano materiale biologico dello stesso paziente (tessuto pericardico) o prelevato da cadavere, se danno risultati eccellenti nei primi anni, aprono degli interrogativi sulla durata di questi tessuti a distanza. Le calcificazioni e/o il cedimento strutturale possono essere infatti, responsabili di restringimenti o, più frequentemente, di insufficienze, anticamere ad un secondo intervento.

Quanto detto introduce ed enfatizza il problema di quelle alterazioni che possono notarsi a distanza dell’intervento chirurgico e che configurano una vera e propria patologia “acquisita”, con la quale il medico, sia esso Pediatra che Cardiologo, devono necessariamente confrontarsi.

Infatti a dispetto di un ottimo lavoro chirurgico e di un’altrettanto ottima assistenza post-operatoria, i controlli seriati clinico-strumentali a distanza hanno dimostrato il pericolo potenziale della così detta patologia “iatrogena” e “residua “ ( insufficienze e/o stenosi valvolari, anomalie contrattili, aritmie), cioè di quelle anomalie generate dall’intervento chirurgico, che possono condizionare, in modo determinante, la scelta dell’attività fisica più idonea al bambino.

Per tali motivi la scelta del tipo e dell’intensità dell’attività fisica non può non prescindere da una valutazione clinica (visita cardiologica, elettrocardiogramma, ecocardiografia) che valuti l’anatomia del cuore ed il ritmo cardiaco e da una valutazione funzionale (test da sforzo) che dimostri la capacità di adattamento del cuore e dei polmoni allo sforzo fisico.

Ciò è quanto mai valido per le forme “complesse”. In questi casi è impossibile stabilire “a priori” il tipo di attività fisica che il bambino potrà affrontare. La decisione dovrà essere guidata da una serie di valutazioni strumentali ed ogni caso sarà diverso dall’altro. Ma a dispetto di quadri anatomici complessi l’attività fisica non dovrà essere proscritta, ma personalizzata, mirata, dosata, tenendo presente l’effetto positivo che essa produce sull’emodinamica e sul piano psicologico.

Le valutazioni clinico-funzionali dovranno essere ripetute nel tempo onde prevenire eventuali cambiamenti in senso peggiorativo e/o per verificare gli effetti positivi indotti dall’attività fisica.

Il bambino deve continuare o riprendere la sua attività fisica senza che questo determini ansia nell’ambiente familiare e scolastico. I controlli medici, non ossessivi, contribuiranno a tranquillizzarlo e ad aumentare la fiducia nei sui mezzi.

Con la collaborazione del Dr. Innocenzo Bianca – Direttore UOC di Cardiologia Pediatrica – Dipartimento Materno-Infantile – ARNAS Garibaldi di Catania