La difficile sfida di diventare adulti: alcune riflessioni sulla storia di Aurelio Visalli

La difficile sfida di diventare adulti: alcune riflessioni sulla storia di Aurelio Visalli

Risale a pochi giorni fa la triste storia del sottufficiale della Guardia Costiera, Aurelio Visalli, morto dopo essersi tuffato nel mare di Milazzo per riportare a riva due ragazzini che avevano sfidato le onde nonostante le avverse condizioni meteorologiche. Visalli, nonostante le onde alte e il forte vento, non ha esitato a tuffarsi per salvare i due incauti adolescenti ma non è riuscito purtroppo a tornare a riva e il suo cadavere è stato recuperato due giorni fa dai colleghi della Capitaneria di Porto.

Una storia triste di un uomo morto per svolgere fino in fondo il proprio lavoro e per salvare le vite di due adolescenti che hanno pensato, nel senso di onnipotenza tipico del periodo adolescenziale, di poter sfidare le avversità del mare e magari dare testimonianza della loro “prova di coraggio” sui social così diffusi tra i ragazzi oggi.

Aurelio Visalli è stato definito un eroe che ha mostrato grande coraggio e altruismo nel mettere a repentaglio la propria vita per salvare quella degli altri. “Beato il popolo che non ha bisogno di eroi”, diceva il grande drammaturgo tedesco Bertolt Brecht, e probabilmente è vero se pensiamo alla reazione dei due ragazzi che sono stati salvati da Visalli. Uno dei ragazzi, infatti, pubblica su Instagram, per poi cancellarlo subito dopo, un post assurdo in cui leggiamo: “ … nessuno si è buttato, quindi prima di dire che qualcuno è morto per salvare me, c*zz*t*”. La prima reazione nel leggere queste parole è sicuramente la rabbia e lo sconcerto per la totale assenza di empatia e gratitudine da parte di questo ragazzo per l’uomo che ha perso la propria vita per salvare la sua. È una reazione naturale ma serve andare oltre l’impatto emotivo della situazione per cercare di comprendere quali dinamiche e meccanismi sono alla base di tali comportamenti sempre più diffusi tra i nostri adolescenti e giovani e per pensare a possibili strategie di prevenzione e di supporto per evitare che queste storie non si ripetano ancora.

L’adolescenza è uno dei periodi più complessi del ciclo di vita in cui il ragazzo è chiamato a costruire progressivamente una propria identità autonoma rispetto ai genitori e in cui il rapporto con i pari assume un’importanza fondamentale nel processo di strutturazione del senso di sé. Un contributo molto interessante per l’analisi del periodo adolescenziale è quello dello psicoanalista Erik Erikson, il quale descrive lo sviluppo psicologico e sociale dell’individuo come un susseguirsi di fasi caratterizzate da specifici compiti di sviluppo che corrispondono a “sfide” che il soggetto deve affrontare e superare per passare alla fase di sviluppo successiva. In questa teoria, l’adolescenza si configura come una fase di sviluppo a sé stante in cui il ragazzo è impegnato a esplorare vari ruoli, stili di vita, modi di pensare, senza obblighi o responsabilità particolari.

Nel nostro periodo storico, l’adolescente costruisce la propria identità confrontandosi con numerosi contesti sociali: la famiglia, la scuola, il gruppo dei coetanei e i mezzi di comunicazione di massa. Assistiamo, tuttavia, a un progressivo declino dei punti di riferimento che hanno da sempre accompagnato le giovani generazioni nello sviluppo della loro identità: la famiglia in primo luogo e poi la scuola, la Chiesa e tutte quelle istituzioni che oggi hanno un ruolo sempre più marginale nell’educazione e nella formazione degli adolescenti. Questo compito è sempre più svolto dai moderni mezzi di comunicazione di massa, in particolare Internet, che veicolano messaggi sempre più incentrati sull’individualismo sfrenato e sul totale disinteresse per l’altro e per i suoi diritti e interessi. Non ci stupisce quindi che i giovani di oggi siano sempre più centrati su se stessi e che recuperino il senso della loro identità nel riconoscimento sociale ottenuto sui social networks in cui domina l’immagine e il falso sé che ciascuno di noi costruisce per darlo in pasto allo sguardo anonimo dei followers e dei contatti virtuali.

La mancanza di punti di riferimento solidi e le proposte di modelli di vita basati su una visione narcisistica e individualistica dell’esistenza hanno contribuito alla “crisi di identità” delle giovani generazioni contemporanee. L’adolescente si oppone a questa crisi valoriale e di identità costruendo un’“identità negativa” e cercando di essere tutto ciò che la società gli dice di non essere, come sottolinea Erikson. Da qui dunque i comportamenti caratterizzati da una ricerca crescente del rischio come quelli dei due ragazzi di Milazzo. L’identità fragile dei nostri giovani, infatti, necessita di continue conferme che si ottengono esibendosi sui social networks e sfidando continuamente i propri limiti, anche quelli imposti dalla natura.

È dunque fondamentale non lasciare soli i nostri giovani nel difficile percorso della crescita e della costruzione della propria identità e saper riconoscere le situazioni più a rischio per intervenire in modo tempestivo.
Sembra che uno dei due ragazzi di Milazzo salvati da Aurelio Visalli abbia rilasciato un’intervista in cui ringrazia pubblicamente il suo soccorritore e dichiara di piangere ogni notte per lui e per la sua famiglia. Sicuramente questa esperienza lo segnerà per il resto della sua esistenza e sarà importante non lasciarlo solo nell’affrontare le conseguenze traumatiche di questo evento.