La qualità fondamentale ed irrinunciabile di un medico è avere cura dell’uomo ammalato, la tecnologia ed il progresso scientifico non sono prerequisito per ciò, essendo acquisibili con lo studio e la conoscenza. Applicare scienza e tecnologia è quindi importante, ma l’umanità del medico risulta essere imprescindibile in quanto il rapporto con l’uomo è basilare. D’altra parte lo stesso giuramento di Ippocrate dà senso alla professione medica, per la quale è necessaria la fiducia ed il reciproco rispetto, la difesa della vita, la salute fisica e psichica, il sollievo della sofferenza. Su questi principi si fonda la dignità e la nobiltà della nostra professione, che ha goduto per secoli di stima sociale, diffusa largamente in ogni strato della popolazione.
Il medico oggi può, tuttavia, confondere la guarigione da malattia con la salvezza dell’anima, Dimenticando che l’uomo è limitato e mortale. Nasce una falsa illusione di onnipotenza della medicina tecnologica, non tenendosi conto dei limiti insuperabili esistenti e del costante equilibrio fra mente e corpo. Non si può cogliere il dramma della malattia se ci si affida solo alle competenze scientifiche e tecniche, si deve invece, tenere nella giusta considerazione la dimensione umana della relazione di cura. L’alleanza fra medico e malato è un incontro fra un uomo segnato dalla sofferenza con il medico, che si fà carico dei suoi bisogni, che lo assiste e lo cura, ricordando che spesso non si è in grado di guarire, ma che tuttavia si può sempre avere cura.
La specializzazione con elevate competenze tecnico scientifiche ha cambiato i connotati di questo antico rapporto, con pratiche tecnologicamente avanzate, che hanno determinato nel tempo il dominio pieno della tecnica rispetto al rapporto con l’uomo, con forte condizionamento sociale ed economico della professione stessa.
Noi ancora crediamo nel primato della persona e nel rapporto interpersonale, riteniamo un valore irrinunciabile e da testimoniare quello del medico che si fa carico della persona malata nella sua interezza, non considerandolo solo come un organo da curare o un caso clinico, perché le competenze devono essere per intero al servizio della persona malata, nella consapevolezza della drammaticità dell’esperienza della malattia, sofferenza e morte.
Se ne deduce che essere medici dell’uomo nella sua interezza è l’unico modo di essere accanto a chi soffre perché medico si è per singolare vocazione ed è necessario lo studio, ma anche sensibilità ed esperienza, non trattandosi di un mestiere o lavoro come altri. Essere medici richiede competenza che va oltre i comuni titoli accademici. Essere medici per chinarsi sulla sofferenza degli altri, non essendoci una cura per tutto.