Registrare o filmare una conversazione con il cellulare è reato? La Cassazione lo esclude

Con la sentenza 5241/2017, il supremo organo nomofilattico ha statuito la liceità delle registrazioni e dei filmati effettuati mediante il telefonino aggiungendo, altresì, che le registrazioni audiovisive eseguite da uno dei partecipanti ad un colloquio o da persona che sia autorizzata ad assistervi, formano una prova documentale lecita e utilizzabile in un processo.

Il caso su cui la Cassazione Penale è stata chiamata a pronunciarsi vede protagonista un brigadiere dei carabinieri accusato dell’indebita induzione di una prostituta ad avere rapporti sessuali con lui, abusando, pertanto, della inferiorità psichica della vittima nonché della sua condizione di pubblico ufficiale. Lo stesso imputato aveva filmato integralmente gli incontri sessuali con la donna e, dalla visione del video oltre che dal contenuto del colloquio tra i due, erano emersi in maniera inconfutabile indizi precisi dei reati in contestazione: per tale motivo, la Suprema Corte aveva ritenuto i suddetti elementi caratterizzati dai requisiti della gravità, univocità e convergenza, inequivocabilmente indicativi del riconoscimento del brigadiere come autore dei fatti.

Relativamente all’utilizzo processuale delle registrazioni audio/video cui si appresta uno dei presenti al fatto o una persona autorizzata ad assistere, il Collegio ha sottolineato che ciò costituisce prova documentale valida e particolarmente attendibile, poiché essa cristallizza in via definitiva ed oggettiva un fatto storico, quale – appunto – un incontro, una telefonata o un colloquio, a maggior ragione nel caso particolare di un episodio di violenza sessuale. L’autore della riproduzione o il soggetto che la subisce sono, inoltre, pienamente legittimati a rendere testimonianza.

Continua la Cassazione aggiungendo che “le suddette registrazioni non necessitano dell’autorizzazione del giudice per le indagini preliminari ai sensi dell’articolo 267 c.p.p., in quando non rientrano nel concetto di intercettazione in senso tecnico e, pertanto, non ne conoscono i relativi limiti e formalità“.

Requisito indispensabile è che si tratti, comunque, di materiali validamente utilizzabili e strettamente riconducibili ai protagonisti dell’incontro o della conversazione. Ciò significa, conclude il Supremo Consesso, che è impossibile equiparare una registrazione effettuata – sia pure occultamente – da uno degli stessi protagonisti rispetto all’ingerenza esterna sull’altrui vita privata costituita dall’intercettazione operata da un terzo estraneo: situazioni del tutto diverse fra loro e che esulano dalle prescrizioni della menzionata recente sentenza.

Avv. Elena Cassella del Foro di Catania