Nuove tutele per i papà

19 marzo. In occasione della festa dei papà va rammentato che esiste un principio di paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura e all’educazione della prole, senza distinzioni o separazione di ruoli tra uomo e donna, ma con reciproca integrazione di essi; e che la presenza del padre è essenziale nel processo di sviluppo di un bambino. In questo senso richiamiamo due recenti sentenze che sottolineano l’importanza di tutelare e garantire fin dalla nascita il rapporto tra il padre e il figlio. In tema di lavoro, con sentenza pronunciata dal T.A.R. Cagliari, sez. II, 21710/2015 n. 1078 è stato riconosciuto al padre lavoratore dipendente il diritto ai riposi giornalieri, previsto dall’art. 39 del d.lgs n. 151 del 2001, anche nell’ipotesi che la madre sia casalinga. La controversia riguardava la mancata concessione a un papà dipendente del Ministero (la cui moglie era casalinga) del diritto di fruire dei riposi giornalieri, di cui all’art. 40 del D.lgs 151/2001, in quanto, a dire dell’amministrazione, “i riposi giornalieri devono essere concessi per garantire al figlio – entro l’anno di vita – la presenza alternativa di uno dei genitori; e che quindi nel caso di questo dipendente statale con moglie casalinga non era affatto giustificata la concessione del beneficio”.

Con la pronuncia su indicata, il Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna ha annullato il provvedimento del Ministero dell’Interno relativo al diniego dei riposi giornalieri di cui al citato art. 39, per violazione dell’art. 40 del d.lgs, e richiamando la sentenza del Consiglio di Stato n. 4618 del 2014 ha rilevato che “trattasi di norme rivolte a dare sostegno alla famiglia in attuazione delle finalità generali di tipo promozionale scolpite dall’art. 31 della Costituzione, e che quindi la ratio delle stesse è quella di riconoscere ai papà i permessi per la cura del figlio quando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività (nella fattispecie, quella di casalinga) che la distolgano dalla cura del neonato“.

Anche in tema di immigrazione, i giudici hanno stabilito la necessità di tutelare il rapporto genitoriale nell’ottica di una crescita armoniosa del bambino nei mesi immediatamente successivi alla sua nascita. Infatti la Cassazione (con la pronuncia del 08/09/2015, n. 17819) ha sancito che il padre straniero di un minore di sei mesi che abbia provveduto al riconoscimento del figlio ha diritto ad ottenere il permesso di soggiorno temporaneo ai sensi dell’art. 9, comma 2, lett. D) del d.lgs n. 286 del 1998.

Il Fatto

Con ricorso D.Lgs n. 286 del 1998, ex artt. 30 e 44 N.O. H.E. chiedeva al Tribunale di Milano il riconoscimento del permesso di soggiorno temporaneo fino al compimento dei sei mesi di vita del figlio. Il Tribunale accoglieva la domanda dichiarando che il ricorrente avesse diritto a non essere espulso e ad ottenere un permesso di soggiorno temporaneo in virtù di quanto previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lett. D). Il Ministero proponeva reclamo dinanzi alla Corte d’Appello di Milano al fine di richiedere la riforma del provvedimento. Con la sentenza depositata il 25/09/2014, la Corte territoriale rigettava l’appello proposto e confermava la pronuncia emessa dal Giudice di primo grado. Avverso tale pronuncia il Ministero dell’Interno proponeva ricorso lamentando la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lett. D), per avere il Giudice di merito applicato tale norma alla fattispecie in esame ed avere, pertanto, ritenuto che il N. avesse diritto a rimanere in Italia in quanto padre di un bambino che non aveva ancora compiuto i 6 mesi di età. La norma summenzionata prevede che non possa essere espulsa dal territorio italiano la donna che si trova in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio. A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 376/2000 tale diritto è stato riconosciuto anche al marito convivente della donna, nonché padre del bambino nascituro o già nato. Sostiene la Cassazione che la ratio della decisione della Corte Costituzionale non è quella di tutelare il rapporto matrimoniale in sé considerato, perché la disposizione ex art. 19, lett. D) è finalizzata sia alla garanzia di una serena gravidanza ma, soprattutto, alla tutela del rapporto genitoriale, nell’ottica di una crescita armoniosa del bambino nei mesi immediatamente successivi alla sua nascita. Difatti, il minore ha il diritto a essere educato, tutte le volte che ciò sia possibile, in un nucleo familiare composto da entrambi i genitori e non dalla sola madre.

Alla luce della prevalente finalità di tutelare la prole, il rapporto intercorrente tra la madre ed il padre del bambino ha una rilevanza secondaria. Peraltro, se si riconoscesse il diritto del minore di crescere con la presenza della figura paterna sulla base del solo rapporto intercorrente tra i propri genitori, si introdurrebbe una discriminazione tra figli legittimi e naturali che, anche alla stregua delle recenti riforme (L.n. 219 del 2012) volte ad unificare lo status di figlio, risulterebbe ingiustificata e contraria al principio di uguaglianza. Imprescindibile sarà, ovviamente, la certezza dei rapporti familiari tra padre e figlio, che dovrà essere verificata caso per caso. Nella fattispecie in esame – come si evince dalla sentenza impugnata – il N. ha provveduto al riconoscimento del bambino, dunque, è corretto estendere la tutela temporanea, che la sentenza 376/2000 della Corte Costituzionale ha riconosciuto al padre-marito convivente, anche al padre non unito da matrimonio alla madre del bambino, stante la certezza del rapporto familiare di paternità intercorrente tra lo straniero ed il minore. Alla luce di quanto detto il ricorso per Cassazione è stato rigettato e affermato il diritto di paternità e l’importanza del padre nella vita di un figlio.

Avv. Claudia Cassella del foro di Catania