Con nuova convivenza l’ex coniuge perde il diritto all’assegno di mantenimento

Con nuova convivenza l’ex coniuge perde il diritto all’assegno di mantenimento

Con la sentenza n. 6855 del 3 aprile 2015 la Suprema Corte di Cassazione 1) ha riconosciuto molta più forza di un tempo alla famiglia di fatto, che diventa stabile quando i conviventi elaborano un progetto ed un modello di vita in comune, anche senza figli, 2) ha fissato il nuovo caposaldo giuridico ossia, che “se l’ex coniuge si ricostruisce una vita, anche se questa non passa nuovamente per un matrimonio, è da considerarsi come una nuova stabilità”, e 3) ha sancito che “la decadenza dell’assegno di mantenimento, pur clamorosa, può essere considerato un mero effetto collaterale”.

La vicenda nella quale è stata pronunciata la sentenza di cui sopra, nasce nel 2004 quando un uomo avviò un procedimento di divorzio contro la moglie e contestualmente, richiese di essere escluso dal pagamento dell’assegno divorzile poiché la sua ex consorte, nel frattempo, aveva intrapreso una convivenza more uxorio con un altro uomo, dalla quale tra l’altro erano nati anche due figli. La donna non si oppose alla domanda di divorzio, ma insistette per l’ottenimento dell’assegno in proprio favore, che il Tribunale le riconobbe nella misura di euro mille mensili. La Corte d’Appello, adita dal marito nel 2011, per impugnare il provvedimento da quest’ultimo ritenuto ingiusto, sostanzialmente confermò quanto stabilito dal giudice di prime cure. Più precisamente, i giudici di prime cure avevano basato le proprie decisioni sulla considerazione che “una relazione more uxorio, può assumere rilevanza nel procedimento di determinazione dell’assegno divorzile, solo se incide in maniera concreta sulla situazione economica del coniuge a favore del quale l’assegno era stato previsto”. Per tale ragione, secondo i giudici di merito, era necessario che la relazione di fatto assurgesse a fonte effettiva e stabile di reddito per il coniuge beneficiario. Solo a questa condizione, dunque, una convivenza poteva essere usata come parametro per la determinazione dell’an e del quantum dell’assegno di cui trattasi. Condizione che, per i giudici di merito, non sembrava essere stata pienamente integrata, nel caso in esame, tant’è vero che avevano confermato l’assegno a carico dell’ex marito.

A questo punto, l’ex coniuge decise di ricorrere in Cassazione, lamentando che la sua ex moglie aveva intrapreso una stabile convivenza more uxorio tale da dar vita ad una vera e propria famiglia di fatto con altro uomo e che i giudici di merito non avevano tenuto in alcuna considerazione detta circostanza, che invece, secondo l’ex marito avrebbe potuto giustificare la cessazione dell’assegno divorzile a suo carico, a nulla rilevando che poi la relazione di fatto dell’ex moglie fosse a sua volta cessata.

Per dirimere la questione, è intervenuta la Corte di Cassazione, la quale ha rinnovato ed adeguato un concetto già avanzato nel 2011, con la sentenza 17195, ossia che “siccome una famiglia di fatto è temporanea per definizione, allora anche la sospensione dell’assegno di mantenimento sarebbe stata temporanea e non definitiva, tantomeno automatica”. Invece, con la sentenza che oggi si richiama, la Corte di Cassazione ha previsto che «l’espressione famiglia di fatto non consiste soltanto nel convivere come coniugi, ma indica prima di tutto una famiglia, portatrice di valori di stretta solidarietà, di arricchimento e sviluppo della personalità di ogni componente. Ove tale convivenza assuma i connotati di stabilità e continuità e i conviventi elaborino un progetto e un modello di vita in comune, analogo a quello che di regola caratterizza la famiglia fondata sul matrimonio, la mera convivenza si trasforma in una vera e propria famiglia di fatto».

Aggiunge la Cassazione che “verificati tali presupposti, la famiglia di fatto rescinde ogni connessione con il tenore e il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, venendo meno ogni presupposto di riconoscibilità di un assegno divorzile”, che invece, trova giustificazione proprio nella conservazione della connessione tra lo stato dell’ex coniuge ed il precedente tenore di vita.

Queste importanti affermazioni rappresentano la sintesi dell’ormai consolidata impostazione dottrinale e giurisprudenziale secondo cui la famiglia di fatto trova la propria copertura costituzionale fondamentale all’interno dell’art. 2 Cost., che tutela ogni cittadino sia come singolo, sia nelle formazioni sociali in cui trova espressione la sua personalità. Infatti, la famiglia di fatto, rientra ormai a pieno titolo proprio tra le formazioni sociali tutelate dall’art. 2 Cost. e quando la convivenza more uxorio assume una simile impostazione, connotata da stabilità e continuità, e si arricchisce persino di un progetto di vita comune elaborato di concerto dai conviventi, allora è possibile parlare di una vera e propria “famiglia di fatto”.

A questa premessa teoretica segue, in modo lineare, la conclusione della decisione in commento secondo la quale, nel momento in cui viene a formarsi una realtà di tipo familiare, che reca tutti i connotati e le caratteristiche appena descritte, ancorché di fatto, non ha più ragione di esistere il raffronto dell’adeguatezza dei mezzi di sussistenza con il tenore e lo stile della precedente vita coniugale, in quanto ormai soppiantata da una nuova relazione familiare, anche se di tipo meramente fattuale.

La Cassazione, inoltre, si è premurata di precisare che non si tratta di una parificazione tout court tra famiglia di fatto e nuove nozze del coniuge divorziato, in quanto queste ultime avrebbero l’effetto automatico di far venire meno il diritto del coniuge all’assegno divorzile. E perché si abbia il medesimo effetto, in presenza di una famiglia di fatto, è sempre necessario un accertamento giudiziale di merito, caso per caso, e ciò proprio al fine di rintracciare quegli elementi caratterizzanti la famiglia di fatto, i quali non sono sempre presenti in qualsivoglia convivenza more uxorio.

In merito alla sorte dell’assegno divorzile, si discute se si possa parlare, non di un’estinzione del diritto al suo pagamento, bensì di una sorta di “quiescenza” del diritto stesso: ossia, esso rimarrebbe come sospeso in costanza di convivenza, per riespandersi una volta che questa si interrompa. Ma, seppur suggestiva, quest’ultima ipotesi è stata ripudiata dai giudici di legittimità, in quanto è apparso molto più coerente «affermare che una famiglia di fatto, che è espressione di una scelta esistenziale libera e consapevole da parte del coniuge … dovrebbe essere … caratterizzata dall’assunzione piena di un rischio» nel quale è necessario includere anche la eventuale futura cessazione della convivenza stessa, con tutte le conseguenze di carattere economico che ne discendono. Su questa scia, si andrebbe a tutelare anche l’affidamento dell’altro coniuge, che a ragione potrebbe aver confidato in un esonero definitivo dall’obbligo di assegno. Affidamento che sarebbe privato di ogni tutela, se si ammettesse che, anche a distanza di anni, l’altro coniuge possa pretendere nuovamente la corresponsione dell’assegno in virtù di un remoto passato coniugale, ormai esaurito.

Sembra che anche gli enti pensionistici stiano studiando come adeguarsi alla novità per i possibili impatti sulle pensioni di reversibilità, nel caso in cui il coniuge sopravvissuto si ricostruisca una famiglia solo di fatto e non di diritto.

In conclusione, nel caso giudiziario sopra narrato, il ragionamento degli ermellini ha condotto alla cassazione delle pronunce di merito, con conseguente accoglimento della domanda dell’ex marito e rigetto della richiesta di assegno divorzile da parte dell’ex moglie, così consacrando il nuovo principio, ossia che l’assegno di mantenimento non possa essere più considerato come un «vitalizio», tranne che si rinunci a coltivare seri e duraturi legami affettivi.

Avv. Lucia Cassella del Foro di Catania