Coppie di fatto e figli minori: a chi viene assegnata la casa familiare in caso di cessazione della convivenza? La Cassazione si pronuncia, ma restano alcuni dubbi.

Coppie di fatto e figli minori: a chi viene assegnata la casa familiare in caso di cessazione della convivenza? La Cassazione si pronuncia, ma restano alcuni dubbi.

Con la Legge 20 maggio 2016, n. 76, intitolata “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze” ed entrata in vigore il 5 giugno 2016 (cd. Legge Cirinnà), la convivenza more uxorio è stata di fatto equiparata alla convivenza basata sul matrimonio. Infatti, ai meri conviventi sono stati riconosciuti diritti che poco o nulla si discostano da quelli normativamente delineati in favore dei coniugi.

Altre normative precedenti, intervenute al fine di integrare o modificare la disciplina vigente in materia di diritto di famiglia, hanno conferito forte rilievo alle coppie di fatto. Laddove le leggi presentavano lacune, è stato compito della Suprema Corte di Cassazione colmarle.

Ad esempio, nessuna legge (neanche la sopra menzionata Legge Cirinnà) ad oggi regolamenta l’assegnazione della casa familiare in caso di cessazione della convivenza more uxorio, in presenza di figli minori della coppia. Qualche anno fa, con la sentenza n. 17971/2015, proprio i Giudici di Piazza Cavour sono intervenuti per disciplinare la materia.

La Corte, in particolare, veniva chiamata a pronunciarsi sulla vicenda di una donna che viveva, insieme ai figli minori avuti dall’ex compagno, nell’immobile di proprietà di quest’ultimo e dallo stesso venduto prima ancora che il Tribunale per i Minorenni si pronunciasse sull’affidamento dei figli stessi. I giudici di merito avevano accolto il ricorso di rilascio della casa presentato dalla società immobiliare, divenuta oramai proprietaria dell’immobile, proposto contro la signora, che la occupava senza alcun titolo. Gli Ermellini, cassando la sentenza d’appello, decidevano invece che “il genitore con cui vivono i figli, in virtù dell’affectio che costituisce il nucleo costituzionalmente protetto della relazione di convivenza, è comunque detentore qualificato dell’immobile ed esercita il diritto di godimento su di esso in posizione del tutto assimilabile al comodatario, anche quando proprietario esclusivo sia l’altro convivente”. La Corte, dunque, non solo stabiliva che l’assegnazione dell’abitazione familiare disposta dal Tribunale per i Minorenni è opponibile al terzo acquirente, ma soprattutto statuiva che, in presenza di figli minori nati dall’unione ed in caso di cessazione di quest’ultima, l’abitazione va assegnata al genitore collocatario, anche se lo stesso non è proprietario dell’immobile.

Ma c’è un però. La sentenza della Cassazione parla di “affectio” maturata dai figli minori verso l’ambiente in cui sono stati abituati a vivere con la famiglia. Il riferimento è evidentemente a quei soggetti minorenni che hanno già vissuto per diversi anni nella casa ove si è costituito ed irrobustito il nucleo familiare e verso la quale nutrono ormai un profondo legame.

Ma cosa avviene nel caso in cui i figli nati dall’unione siano ancora molto piccoli e non possano, quindi, avere ancora sviluppato un legame con la casa familiare? Se il fulcro sul quale la Suprema Corte si è fondata nell’assegnare l’abitazione al genitore collocatario e non proprietario è quello dell’”affectio” dei bambini, tale assegnazione non avrebbe motivo di esistere ove l’affectio dei figli verso la casa familiare non sia ancora maturata poiché in tenera età. Con la conseguenza che l’immobile resterebbe nel possesso dell’ex convivente proprietario e non collocatario.

Si tratta di un profilo meritevole di attenzione ed approfondimento ad opera tanto del legislatore quanto della giurisprudenza.