Cassazione: non c’è evasione per chi preferisce il carcere alla moglie

Cassazione: non c’è evasione per chi preferisce il carcere alla moglie

La curiosa vicenda che stiamo per raccontare non solo è realmente accaduta, ma ha altresì impegnato per ben tre volte i giudici italiani, i quali si sono trovati a decidere in ordine alla configurabilità o meno, nel caso di specie, del reato di evasione dai domiciliari. Il caso riguarda un uomo che si trovava agli arresti domiciliari presso l’abitazione coniugale, il quale, all’esito dell’ennesimo litigio con la moglie, preferiva allontanarsi da casa e chiamare i carabinieri affinché lo conducessero immediatamente in carcere. Denunciato per la condotta a lui ascrivibile, il Tribunale di primo grado, in esito a giudizio abbreviato, aveva condannato il malcapitato marito alla pena di quattro mesi di reclusione per il reato di evasione dagli arresti domiciliari. La Corte d’appello, confermava la decisione del primo grado, stante che “la ratio che sorregge la norma di cui all’art. 385 c.p. consiste nell’obbligo imposto alla persona sottoposta alla misura detentiva domiciliare di rimanere nel luogo indicato e non allontanarsene senza autorizzazione, perché ritenuto idoneo a soddisfare le esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p. e nel contempo nel consentire agevolmente i prescritti controlli da parte dell’autorità di polizia giudiziaria addetta”.

La Corte aveva pertanto confermato la condanna a mesi quattro di reclusione. Avverso la sentenza proponeva ricorso in Cassazione l’imputato, il quale deduceva l’insussistenza del reato, non avendo in realtà mai voluto sottrarsi al controllo dell’Autorità, essendosi la condotta concretizzata nell’avere, dopo un litigio con la moglie, telefonato ai Carabinieri informandoli della maturata decisione di volere andare in carcere. La Corte di Cassazione, ribaltando la decisione cui erano pervenuti i due precedenti gradi di giudizio, con sentenza n. 44595/2015 depositata lo scorso 4 novembre, ha evidenziato che non può ritenersi qualificata dal dolo necessario, per la sussistenza del delitto contestato, la condotta di colui che, ristretto agli arresti domiciliari, prospettando l’impossibilità di protrarre la convivenza con i familiari, richieda telefonicamente l’intervento presso il proprio domicilio del personale di polizia preposto ai controlli sull’esecuzione della misura, e successivamente attenda l’arrivo degli operanti al di fuori dell’abitazione.

Gli Ermellini hanno infatti ritenuto che l’intervenuto litigio con la moglie all’interno del domicilio condiviso, nonché obbligatorio per l’agente a seguito di misura detentiva, e la comunicazione dell’imminente allontanamento alle forze dell’ordine dovessero essere apprezzate unicamente riguardo al movente della condotta tipica, consistente nell’indebito allontanamento dall’abitazione, come tale incidente esclusivamente sul trattamento sanzionatorio in concreto applicato dal giudice. Ciò che manca dunque è l’elemento psicologico del dolo generico, elemento imprescindibile della condotta di cui all’art.358 c.p. Tale norma punisce con la reclusione da uno a tre anni chiunque evade, essendo legalmente arrestato o detenuto per un reato. La fattispecie in esame del “marito evasore” non può tuttavia rientrare nell’ambito operativo dell’art. 385 c.p., in quanto il soggetto agente sarebbe sprovvisto di dolo e il suo comportamento non lederebbe il principio di autorità delle sentenze. In altre parole egli, non voleva evadere e disattendere un provvedimento giudiziale, ma voleva “solo” allontanarsi dal partner divenuto insopportabile, senza voler evitare il controllo sui propri movimenti.

I Giudici di Piazza Cavour hanno infatti ritenuto la totale assenza di offensività concreta, prevista dall’art. 49 c.p., comma 2, atteso che in nessun momento egli si è sottratto alla possibilità per gli addetti al controllo di effettuare le dovute verifiche, restando nelle immediate vicinanze del domicilio coatto. La sentenza è stata pertanto annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste e l’uomo, suo malgrado, è tornato a casa con la moglie.

Avvocato Elena Cassella del Foro di Catania