Nella simbologia dei numeri esoterici al numero 27 si attribuiscono note positive e altre negative. Nel primo caso sta ad indicare la buona riuscita di un obbiettivo nell’altro caso, invece, l’attimo che sfugge, ovvero quegli eventi importanti che arrivano in un momento inopportuno.

È quello che è successo per l’uscita dell’album “Lioness: hidden treasures” nel 2011, che non vedrà mai nessuna apparizione live a causa della morte della cantante Amy Winehouse il 23 luglio dello stesso anno.

Ma non è tutto.

Il 27 è anche l’età in cui Amy, a causa di un uso massiccio di droghe, viene trovata senza vita nel letto di casa sua al numero 30 di Camden Square. Amy Winehouse non aveva ancora compiuto il 28° anno di età e quindi anche lei farà parte di quella cerchia sempre più ampia, di quegli artisti “maledetti” spariti a quell’età per aver abusato di alcol e droghe come Jimi Hendrix, Janis Joplin e Jim Morrison.

Nata il 14 settembre del 1983, all’età di 13 anni cresce la sua passione per la musica grazie anche a gruppi che l’hanno fortemente ispirata come le Salt-n-pepa ma cresce anche quel suo caratterino che l’accompagnerà sino all’ultimo giorno della sua vita. Come quando a scuola un anno fu bocciata. I suoi genitori furono costretti a cambiarla di istituto e lei per protesta si forerà da sola un buco del naso per mettersi un piercing.

Nel 2003 il primo album “Frank” e le prime note positive da parte della critica anche se l’album non riscuoterà un gran successo. Ma la vera Amy Winehouse che noi tutti conosciamo arriverà al successo con l’album “Back to black”. Album ricercato, fortemente sentito, voce da nera calda e decisa, là dove la stessa Amy ne trascrive i testi che lasciano poca interpretazione all’immaginazione. La sua è una costante lotta contro quell’amore malato per Blake Fielder che l’aveva vista convolare a nozze per poi divorziarne quasi subito, giusto il tempo di lasciare che quel ragno la tenesse ben stretta nella sua invisibile ragnatela, trascinandola nel vortice della droga e della perdizione: “ci siamo detti addio solo a parole io sono morta un centinaio di volte tu torni da lei io ritorno da…noi…” (Back to black).

Persino il brano “Rehab” che anticipa l’uscita dell’album, parla del suo rifiuto a disintossicarsi dalla droga, segno che ormai è troppo tardi. E lo sarà sempre di più perché la stessa Amy apparirà in tv e su palchi per il mondo, malconcia e ubriaca, così tanto da non riuscire a sorreggere nemmeno il microfono. Ma nonostante le critiche e le varie vicissitudini negative, Amy, nel bene e nel male, è sulla bocca di tutti e i suoi brani si piazzano al primo posto delle classifiche.

Intanto è solo sui fogli bianchi delle pagine del suo diario che si sfoga veramente traducendo i suoi sentimenti in musica, descrivendo una persona sensibile e geniale quale era Amy. Lei, per la maggior parte, è stata l’autrice di brani che hanno fatto da colonna sonora alla sua vita, descrivendo i suoi stati d’animo condividendoli col mondo intero. Il divorzio da Blake continuerà a logorarla dentro e quasi non se ne fa una ragione.

Inizierà a trascrivere la sua frustrazione anche in brani come “Tears dry on their own”: “…non so perché mi sono affezionata così tanto è una mia responsabilità e tu non mi devi niente ma non riesco ad andarmene via…” e in altri come “Our day will came”, “Wake up alone”, “Stronger than me”.

Mi chiedo se le cose fossero andate diversamente, come sarebbe stata oggi Amy Winehouse? Forse avrebbe compiuto i suoi 34 anni e avrebbe superato brillantemente il periodo dei 27. Chissà quanti altri successi e quanti altri amori l’avrebbero attesa. Ma la vita è un altalena capace di portarti su e poi nuovamente giù. Lei è arrivata come una stella dal cielo per poi ritornarci per essere poi immortalata in un’altra stella, quella finta, senz’anima, quella di marmo alla “Walk of fame” di Londra che porta il suo nome, nel ricordo della sua esistenza là dove neanche la morte ha saputo offuscare il suo carisma da artista e poetessa maledetta allo stesso tempo.