Un’inversione di tendenza netta, che segna l’ascesa di una nuova protagonista nel panorama del turismo internazionale. Mentre molte destinazioni consolidate faticano a gestire i flussi post-pandemici, la Mongolia emerge dai dati del primo semestre 2025 con una performance sorprendente: un incremento del 18% negli arrivi di turisti stranieri rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Un numero che non è solo una cifra statistica, ma il segnale di un cambiamento profondo nelle preferenze dei viaggiatori globali, sempre più alla ricerca di autenticità, spazi sconfinati e un’autentica disconnessione dalla frenesia quotidiana.
Questo risultato è il frutto di una strategia mirata e di un timing perfetto. Il governo mongolo ha investito in modo significativo nella promozione del paese attraverso la campagna “Years to Visit Mongolia”, estesa fino al 2025, e ha introdotto politiche di esenzione dal visto per i cittadini di numerose nazioni, Italia inclusa, rendendo l’accesso al paese più semplice e immediato. Questa mossa si è innestata su un desiderio latente del mercato: la fuga dall’overtourism. In un’epoca in cui le città d’arte europee e le spiagge tropicali sono prese d’assalto, la promessa di attraversare per ore una steppa infinita senza incontrare nessuno, sotto un cielo di una purezza quasi irreale, è diventata il nuovo lusso.
L’interesse crescente si scontra però con le peculiarità logistiche di un territorio vasto tre volte la Francia ma con una densità di popolazione tra le più basse al mondo. Le infrastrutture sono limitate e le strade, al di fuori della capitale Ulan Bator, sono spesso semplici piste. Organizzare un’esplorazione richiede quindi una preparazione non indifferente. È in questo contesto che si inserisce la domanda di esperienze strutturate: affrontare un viaggio in Mongolia affidandosi a operatori che conoscono il territorio permette di superare le barriere logistiche e di vivere un’avventura profonda in totale sicurezza, concentrandosi solo sulla bellezza dei luoghi e sull’incontro con la cultura nomade.
A cosa è dovuto, quindi, questo successo? L’analisi dei flussi turistici rivela che i nuovi visitatori non cercano resort o attrazioni convenzionali. Sono attratti dal richiamo di esperienze uniche: dormire in una ger (la tradizionale tenda nomade) ospiti di una famiglia locale, cavalcare attraverso la Valle dell’Orkhon, patrimonio UNESCO e culla dell’impero di Gengis Khan, o avventurarsi nel Deserto del Gobi, un ecosistema che va ben oltre le dune di sabbia, offrendo canyon rocciosi e siti paleontologici di fama mondiale. L’attrattiva non è il singolo monumento, ma l’esperienza immersiva nel suo complesso.
Questa crescita, se da un lato rappresenta un’opportunità economica vitale per un paese che cerca di diversificare la propria economia, fortemente dipendente dal settore minerario, dall’altro lato pone delle sfide cruciali in termini di sostenibilità. Come gestire l’aumento dei visitatori senza intaccare il fragile equilibrio degli ecosistemi e senza alterare la cultura nomade, che è il vero cuore pulsante dell’identità mongola? La risposta del governo e degli operatori locali si sta orientando verso un modello di turismo a basso impatto, che privilegi piccoli gruppi, promuova il rispetto per l’ambiente e garantisca che i benefici economici raggiungano direttamente le comunità rurali.
Il boom turistico della Mongolia non è quindi un fuoco di paglia, ma l’affermazione di un nuovo paradigma di viaggio. È la vittoria del silenzio sul rumore, dello spazio sul sovraffollamento, dell’esperienza autentica sul consumo turistico di massa. Il +18% non è solo un dato economico, ma la misura di un desiderio globale di riscoprire un modo di viaggiare più lento, profondo e connesso con il pianeta.