“Odio il mio corpo”: il dramma dei disturbi alimentari in una realtà dominata dall’immagine e dai giudizi

“Odio il mio corpo”: il dramma dei disturbi alimentari in una realtà dominata dall’immagine e dai giudizi

Anoressia, bulimia, binge eating (disturbo da alimentazione incontrollata): sono parole che ascoltiamo ogni giorno, spesso senza conoscere la realtà sul drammatico mondo dei disturbi alimentari, che spingono chi ne soffre in un abisso senza fondo, fatto di odio per se stessi e sfiducia nelle proprie potenzialità.

I disturbi alimentare (DA) sono da sempre al centro di campagne mediatiche e di prevenzione, ma i dati recenti sono tutto fuorché incoraggianti: secondo quanto divulgato sul portale del Ministero della Salute, infatti, sarebbero ben 3 milioni le persone affette da disturbi alimentari.

L’età di insorgenza dei DA è variabile: “Il range di età relativo alle persone affette da disturbi alimentari sta aumentando pericolosamente negli ultimi tempi: se prima l’esordio della malattia si manifestava inizialmente intorno ai 15 anni, oggi non mancano casi di bambine affette da disturbi del comportamento alimentare, né casi di 60enni che soffrono di problemi simili”, ha dichiarato il dottor Francesco Iarrera, referente regionale dell’Aidap (Associazione italiana disturbi dell’alimentazione e del peso).

Sebbene la quasi totalità dei casi registrati dalle stime ufficiali riguardi soggetti di sesso femminile, il numero degli uomini affetti da DA aumenta di anno in anno: “L’incidenza dei disturbi del comportamento alimentare nella popolazione maschile è fortemente sottostimata e la diagnosi spesso è piuttosto complessa. I ragazzi a volte praticano molto sport per ottenere un fisico atletico e muscoloso e non si pensa che dietro a un’attività sportiva eccessivamente intensa possa esserci un disturbo alimentare, ma a volte in realtà è così”, ha affermato il dottor Iarrera.

La cosa più difficile quando si parla di DA è individuare le motivazioni che spingono chi ne soffre a chiudersi in un mondo proprio, in cui i momenti di spensieratezza e allegria non esistono se si sta a pochi passi dal cibo. La verità è che parlare di vere e proprie cause è impossibile: “Non esistono cause, ma solo fattori di rischio spiega il referente siciliano dell’Aidap -. Il disturbo alimentare può essere influenzato da problemi personali e traumi o da atti di bullismo e body shaming, ma i fattori possono essere molteplici e cambiano da paziente a paziente”.

Sicuramente, però, un fattore ha contribuito particolarmente all’aumento esponenziale dei casi registrati degli ultimi 10 anni: il trionfo della società dell’immagine. Il valore di una persona sembra ormai legato al suo corpo e vedere celebrità seguire diete restrittive, vip che usano il peso come argomento per “svalutare” i nemici, modelle con indice di massa corporea spesso inferiore a 18.5 (valore minimo per essere considerati “in salute”) e gente che fa di tutto per ottenere un like non ha certo un effetto positivo sugli individui, che si costringono a mettere il loro aspetto al di sopra di ogni valore etico, morale o sociale, quasi sempre senza volerlo o senza rendersene conto.

“Un ambiente che enfatizza molto gli ideali di bellezza e magrezza è certamente un fattore di rischio. Vedere la donna magra e l’uomo muscoloso come modelli di persone di successo può stimolare certi meccanismi negativi, specialmente nelle persone giovani. Anche essere una donna è diventato un fattore di rischio nella nostra società. Il solo seguire una dieta, anche buona, aumenta di ben 18 volte il rischio di sviluppare un disturbo alimentare nelle giovani donne”, spiega il dottor Iarrera.

Il primo passo per la guarigione è sicuramente la terapia.

Tra le varie tipologie di terapia per il trattamento dei DA c’è la Terapia cognitivo comportamentale potenziata (CBT-E). “Al momento questa è la migliore forma di terapia, in quanto si adatta a ogni forma di disturbo alimentare, a prescindere dalla diagnosi (e questo è un bene, visto che spesso i disturbi ‘migrano’ e si trasformano nel tempo) e dall’età del paziente – afferma il dottor Iarrera -. Il primo passo è identificare i meccanismi che tengono la malattia in piedi, diversi per ogni persona. Il secondo è far capire al paziente la funzione di ciascun comportamento e proporre, con gradualità, dei cambiamenti. Lo scopo è ‘erodere le paure’. Questo tipo di terapia è molto auto-ingaggiante, visto che i pazienti ne comprendono immediatamente i vantaggi e sono da subito soddisfatti perché grazie alla terapia riescono a riprendere il controllo, una cosa necessaria per chi soffre di disturbi alimentari”.

Chi si occupa di DA, sia per strutture pubbliche che per strutture private, ha un solo obiettivo: far capire ai pazienti che la malattia è reversibile e fare di tutto affinché questi possano crederci e lavorare per ritornare a vivere serenamente.