Robinson Crusoe, la storia scritta il 25 aprile di 302 anni fa: l’isolamento del naufragio che somiglia a quello del lockdown

Robinson Crusoe, la storia scritta il 25 aprile di 302 anni fa: l’isolamento del naufragio che somiglia a quello del lockdown

“L’uomo non si vergogna di peccare, ma si vergogna di pentirsi: sono ormai passate centinaia di anni da quando queste parole furono lette per la prima volta tra le pagine del celeberrimo romanzo “La vita e le strane sorprendenti avventure di Robinson Crusoe”, pubblicato esattamente il 25 aprile del 1719 per mano del suo stesso autore, Daniel Defoe.

Quello che al giorno d’oggi è considerato il primo romanzo d’avventura nella storia spegne oggi niente meno che 302 candeline.

La trama in breve

Robinson Crusoe è nato nel 1632 a York da una famiglia di ceto medio che spera nel suo futuro di brillante avvocato. Amante dei viaggi e della libertà, specialmente degli spostamenti in mare, all’età di 19 anni il protagonista decide di partire e imbarcarsi alla scoperta del mondo.

All’inizio del suo viaggio e per i successivi due anni, il giovane resta schiavo dei pirati fino al momento della sua fuga verso il Brasile, dove riesce a prendere la guida di una piantagione di canna da zucchero grazie alle sue peculiari abilità commerciali. Tornato in mare con l’intento di catturare degli africani da far schiavi in Guinea, la sua nave affonda provocando la morte di tutto l’equipaggio tranne che la sua. Inizia qui la sua vita da naufrago che durerà 28 lunghi anni, 12 dei quali vissuti in completa solitudine.

Molte sono le vicissitudini che richiederanno sangue freddo e spirito di sopravvivenza all’uomo, tra queste anche una grave malattia grazie alla quale Robinson Crusoe scoprirà la sua fede in Dio e nel Cristianesimo.

Dopo 12 anni scopre che l’isola è il luogo in cui i selvaggi portano i prigionieri di guerra per compiere sacrifici umani e atti di cannibalismo, dunque decide di attaccarli per liberare la vittima che sta per essere sacrificata, che tiene con sé come “suddito” e che ribattezza “Venerdì” (in ossequio al giorno del loro incontro), insegnandogli la lingua inglese e convertendolo alla fede cristiana attraverso la costante lettura della Bibbia.

Molte le altre battaglie che porteranno l’avventuriero al suo ritorno verso casa, a York, dove salpa nel 1687 e scopre di essere diventato molto ricco. Dopo aver avuto moglie e figli, poi, alla morte di lei, l’uomo decide di salpare nuovamente verso un nuova avventura proprio su quella stessa isola nella quale aveva vissuto in isolamento, ma stavolta come governatore di una colonia spagnola.

Un romanzo senza tempo

Dopo oltre 300 anni, come ogni classico che si rispetti, Robinson Crusoe ha ancora molto da raccontare, nonostante i diversi contesti sociali in cui nel tempo la sua storia è stata scritta e letta.

Daniel Defoe analizza la figura dell’uomo solo, impotente di fronte alla Natura e a Dio. Quasi come in un lockdown ante litteram (ma con nessuna possibilità di comunicare con gli altri), Robinson è costretto a ben 12 anni di totale solitudine: fuori non c’è una pandemia, non è il 2020, ma per lui è impossibile tornare a casa, è costretto a un’immobilità che lui non ha scelto.

Le ore trascorrono inizialmente grazie al suo diario su cui decide di annotare, giorno dopo giorno, tutte le esperienze e avventure da lui vissute, un po’ come tra marzo e aprile in molti hanno fatto sui social lo scorso anno, ma Robinson ha dovuto affrontare un problema che ai giorni nostri difficilmente potremmo porci: nel luglio del 1660, solo un anno dopo il naufragio, l’inchiostro della penna si esaurisce.

Ancora una volta il corso degli Eventi ha la meglio sull’uomo, lo comanda e sceglie per lui, come in piccolo lo stesso naufrago prova a fare con Venerdì, il suo “schiavo”. Oppresso da qualcosa di più grande di lui, a sua volta l’uomo necessita di comandare qualcosa, di possedere mentre – purtroppo – non ha assolutamente nulla.

Come in periodo Covid, anche Robinson Crusoe affronta la malattia seppur senza farmaci e vaccini, ma in solitudine e confidando solo nella fede, proprio come agli inizi (e anche negli ultimi tempi) anziani e altri malati si sono ritrovati all’interno dei reparti di Malattie Infettive senza un supporto che fosse a loro familiare, nuovamente soli, dentro un’isola tutta propria.

L’avventura è durata molto, questo Robinson lo ha visto e vissuto sulla sua pelle, ma alla fine anche l’eterno naufrago è riuscito a imbarcarsi verso la civiltà, trovando così nuova vita. La speranza, ovviamente, è che anche in questo le due storie – quella di Crusoe e quella del lockdown, delle restrizioni – possano trovare un punto in comune, quello del lieto fine (che si spera non abbia alcun sequel, a differenza del capolavoro letterario di Defoe!).

Fonte immagine (l’isola di Robinson Crusoe) Wikipedia