Da sempre si dice che la musica sia la cura di tutti i mali e un fondo di vero in questa affermazione c’è senz’altro. Esiste, infatti, un “mondo” – probabilmente un po’ sconosciuto – che è costituito dalla musicoterapia, che rappresenta il perfetto connubio tra arte e scienza e che possiede delle potenzialità pressoché infinite.
A tal proposito, Amedeo Martorana, musicoterapista e autore del sito musicaemente.it, raggiunto dalla nostra redazione, ha precisato: “La bellezza della musicoterapia è quella di essere a cavallo fra l’arte e la scienza, ingloba entrambi gli ambiti e non può essere catalogata esclusivamente in nessuno dei due. Non ci si può affidare soltanto all’elemento scientifico come non ci si può assolutamente basare solo sul senso estetico e quindi musicale. Anche la formazione di un esperto in musicoterapia quindi deve necessariamente presentare questi due aspetti“.
Vediamo, dunque, nello specifico, cosa si intende con il termine “musicoterapia”. Innanzitutto, si tratta di un trattamento educativo – ma anche riabilitativo – che utilizza i principali elementi musicali quali suono, ritmo, melodia e armonia per migliorare la comunicazione, la relazione, l’apprendimento, l’espressione… per soddisfare diverse esigenze fisiche, emozionali, mentali e sociali. Il tutto teso all’ottimizzazione della qualità della vita attraverso questo processo. Si utilizza a fini preventivi, educativi, socio-riabilitativi e terapeutici.
Obiettivo primario è proprio questo: comunicare attraverso la musica, nostra compagna fidata di vita. Amedeo Martorana, in prima linea, ci ha spiegato questo concetto: “Significa creare un legame emotivo e affettivo attraverso i suoni, tramite quello che viene definito “dialogo sonoro”. Durante una seduta di musicoterapia, il terapeuta e il paziente instaurano un dialogo fatto di suoni, pause, ritmi… come in una conversazione convenzionale fatta “solo” con le parole, qui però è il canale non verbale ad essere prevalente e a fornire al musicoterapista quei dati che opportunamente analizzati e valutati (dapprima sul momento e poi, in seconda sede, in maniera analitica) verranno rielaborati al fine di incidere positivamente sui deficit e/o sulle lacune del paziente“.
Tutto questo è possibile perché la musica è dentro di noi, ci accompagna da sempre, l’ordine ritmico è in tutte le nostre attività, da quelle più banali a quelle più complesse. Il nostro intervistato, su questo punto, ci ha detto: “L’area del cervello adibita all’elaborazione del suono – e quindi della musica – è fra le prime a formarsi nel neonato e fra le ultime, se non l’ultima, a compromettersi durante la fine del ciclo della vita. Questo è un esempio evidente di come noi siamo esseri musicali fatti per godere della musica e per viverla in tutti i modi possibili: educativi, ludici, terapeutici…“.
Ogni individuo, infatti, ha una propria “identità sonora”, una sorta di “curriculum vitae musicale” plasmato in base al nostro essere. È una vera e propria “memoria sonora”, raccolta negli anni, che rende vivo un ricordo, un pensiero, che ci trasmette determinate sensazioni. Portare alla luce tutto ciò è compito del musicoterapista, che diventa l’anello di collegamento tra il paziente e la musica e favorisce la comunicazione.
A tal proposito, per comprendere più da vicino, abbiamo intervistato anche Federica D’Arrigo, pianista e musicoterapista catanese, che si occupa quotidianamente di trasmettere, nel miglior modo possibile, la musica in tutte le sue sfaccettature, sia nel capo educativo, che curativo e sociale. Proprio lei ha specificato: “Spesso non ci rendiamo conto di come la musica sia parte ben profonda della nostra vita: ogni nostra esperienza e singolo minuto è legato ad un suono, così da ritrovarci, ognuno di noi con una storia musicale alle spalle. L’identità sonora è proprio questa, è l’insieme di suoni, movimenti e silenzi che distinguono un essere umano dall’altro, caratterizzandolo, rendendolo unico. Essa nasce nel grembo materno attraverso i suoni del corpo materno, il battito cardiaco, i movimenti addominali, il respiro, ma anche attraverso i suoni ovattati che provengono dall’esterno, come la voce dei genitori. Da queste esperienze intrauterine, una volta nato, il bambino cerca di collegare e ritrovare le stesse in questo mondo estraneo, grazie ad una memoria che spesso non ci rendiamo conto di avere, la memoria sonora appunto“.
Indicare quali siano tutti i benefici della musicoterapia è impossibile, perché nel corso degli anni, esperti del settore ne scoprono di nuovi e, in ogni caso, bisogna guardare i singoli casi, il tutto va spiegato e compreso individualmente, situazione per situazione, così come ci ha spiegato la nostra intervistata. Quello che la musicoterapia vuole ottenere è cercare di stabilire con il paziente un ambiente “familiare” in cui si possa sentire libero di esprimersi, senza aver paura del giudizio altrui.
Su questa scia, vi sono tante applicazioni pratiche della musicoterapia che possono realmente dare quel quid in più nello sviluppo. Ci si può affidare a tale nobile scienza nei casi di soggetti che soffrono di Alzheimer e, a tal proposito, la musicoterapia si è mostrata la base per “ricominciare”. Come si sa, questa patologia prevede la perdita, purtroppo sempre più frequente, di ricordi e l’incremento del senso di “smarrimento”. Con la musicoterapia si può compiere un “tuffo nel passato” che non si credeva più possibile.
Lo stesso Amedeo Martorana si occupa di alcuni laboratori di musicoterapia e i ricordi più belli e toccanti li ha proprio da questi incontri. Ci ha raccontato: “Più che un evento in particolare mi piace ricordare vari momenti, ad esempio quello in cui ho visto un signore con forte ritardo mentale staccarsi dal suo stato-problema e, dopo aver suonato con forza il tamburo, mi ha guardato e mi ha sorriso e lì ho avuto la percezione che lui fosse felice e presente, anche se solo per pochi secondi”.
E ancora: “Oppure mi capita spesso di vedere pazienti affetti da Alzheimer alzarsi in piedi e ballare al suono di una vecchia canzone che magari gli ricorda i tempi della loro infanzia. La cosa stupenda della musicoterapia è questa: all’improvviso, dopo tanto lavoro, arriva la trasformazione o almeno la speranza che tu sia entrato nel cuore e nella mente dell’altra persona per poter portare un cambiamento, anche minimo, che possa apportare benessere e, perché no, felicità nella vita dell’altro“.
Ma non è tutto: altre applicazioni pratiche si possono vedere nei casi di autismo, di soggetti che soffrono di ipoacusia e altre patologie. Il musicoterapista, in tali situazioni, aiuta il soggetto ad avere una figura di sé migliore di quella che ha in mente, sviluppando maggiore fiducia anche negli altri. Federica D’Arrigo ha confermato tali benefici e ha illustrato meglio: “Per le patologie neurologiche come l’Alzheimer è utile attuare una terapia volta ai ricordi di gioventù, stimolare la memoria autobiografica così da rafforzare l’identità. Ad esempio, riscoprire le canzoni della giovinezza del paziente, per fargli rivivere determinati ricordi che sono andati via. Per le patologie mentali, come l’autismo, vi sono diversi studi che spiegano gli effetti della musicoterapia, tra quelli più importanti vi sono sicuramente il miglioramento di comunicazione, dei comportamenti sociali e di qualità della vita familiare. Nelle persone affette da ipoacusia non si può certamente far recuperare l’udito, ma la musicoterapia riesce a integrarli nel mondo sonoro, agendo attraverso le vibrazioni della musica sui risuonatori naturali del nostro corpo, che per via dell’attenzione sull’apparato uditivo non riusciamo ad attivarli e quindi sentire col corpo. Questo è possibile, ad esempio, grazie a pedane vibrazionali con cui il paziente viene investito di vibrazioni a livello dei tessuti, muscoli e sistema nervoso“.
Uno studio ha dimostrato anche che la musicoterapia può attivare una stimolazione cerebrale anche nei soggetti in stato comatoso ed è utile anche nel fine vita. Proprio il soggetto in stato vegetativo ha una percezione molto frammentaria del mondo e, in questo modo, si può provare di ricomporre il suo “puzzle emotivo e sonoro”. Ma perché questo avviene?
Abbiamo indirizzato la domanda direttamente a Federica D’Arrigo che ci ha risposto: “Negli stati comatosi la musica raggiunge canali di stimolazione sensoriale e cerebrale attivando così un contatto emotivo, oltre a migliorare l’irrorazione ematica cerebrale. Ovviamente, conoscendo la storia musicale della persona in coma, è opportuno utilizzare ciò che lo tocca profondamente. Tra le applicazioni meno conosciute vi è la musicoterapia nel fine vita, per aiutare a migliorare la condizione degli ultimi momenti in vita. O ancora, in tutte le situazioni della nostra vita, la musica è una compagna fedelissima: rilasciando dopamina nel cervello, induce stati d’animo positivi e mette in azione regioni del cervello coinvolte nelle emozioni, nel linguaggio e nel movimento, oltre a favorire la neuro-plasticità per compensare le regioni cerebrali danneggiate, ecco perché può aiutare i soggetti depressi. La musica ci aiuta in ogni momento, ci rende positivi, ci aiuta a pensare e fare delle scelte“.
L’errore più comune che si compie è credere che la musicoterapia sia un “trattamento” indirizzato soltanto a soggetti con patologie importanti e, non a caso, Federica D’Arrigo ci ha detto che si sente ripetere spesso: “Ma mio figlio mica è malato“, senza pensare che si può attuare anche – e soprattutto – in un soggetto “sano”, sia in campo preventivo che socio-riabilitativo. Per esempio, la stessa pianista e musicoterapista ci ha detto di applicarlo, nel primo caso, nelle donne in gravidanza per permettere alla madre di essere consapevole su ciò che sta avvenendo all’interno del suo corpo, avvicinandola e facendole rivivere la sua vita intrauterina e le sensazioni provate per rifletterle al feto, nonché far percepire al bambino che, al di fuori del grembo materno, lo aspetta un mondo accogliente. Nel secondo caso, soprattutto in gruppi di bambini in fase pre-scolare per facilitare i rapporti interpersonali, migliorare la comunicazione, stimolare l’espressione dei sentimenti, il saper vivere in gruppo, la fiducia nell’altro, ma anche singolarmente si migliora lo sviluppo psico-motorio, il coordinamento e i riflessi.
Senza andare lontano, la stessa Federica D’Arrigo ci ha raccontato la sua personale esperienza con annessi benefici che ne ha tratto: “Voglio dirvi ciò che ha fatto su di me la musicoterapia, per evidenziare quanto sia utile, anche in soggetti “sani”. Durante il mio percorso di studi musicoterapici, venivano proposti dei laboratori a cui ho partecipato quasi interamente. Perché dico quasi? Questi laboratori, che vedevano i corsisti in prima linea come dei pazienti, hanno fatto scoprire ad ognuno di noi delle lacune, per me sociali, nascoste profondamente. Io ho scoperto di non aver fiducia nel prossimo e ciò mi ha terribilmente spaventata a tal punto da allontanarmi per qualche lezione, finché il mio mentore, insegnante del corso, mi ha pian piano reintrodotta e aiutata, sempre attraverso il paradigma movimento-suono-ritmo, nel gruppo di cui facevo parte. Sono riuscita a guardare l’altro negli occhi, senza aver paura, ad avere un contatto senza scansarlo, a fidarmi ciecamente, nonostante fossero per me persone non familiari. Io credo tantissimo negli effetti della musicoterapia, perché li ho vissuti in primis, ma ho anche assistito e raggiunto degli obiettivi con i miei pazienti“.
Purtroppo, ad oggi, la musicoterapia è un percorso poco noto che viene a volte anche sottovalutato, seppur si stia espandendo lentamente. Bisogna impegnarsi giorno dopo giorno anche solo a parlarne, perché realmente può costituire un valido aiuto per tutti. Nel suo piccolo, è proprio questo che fanno quotidianamente Amedeo Martorana e Federica D’Arrigo, i nostri due intervistati. A tal proposito, il primo ci ha detto: “In Italia c’è ancora molto lavoro da fare affinché la musicoterapia sia effettivamente integrata nel tessuto sociale così come nel senso comune. Questo dipende da molti fattori, per esempio il fatto che la musicoterapia sta avendo difficoltà ad essere riconosciuta in Italia come professione con un proprio codice deontologico, albo dei professionisti e via dicendo. Tutto ciò per motivi che comunque esulano l’efficacia della disciplina, la quale è stata ormai largamente verificata e attestata attraverso decenni di sperimentazioni cliniche che hanno portato alla creazione di una lunghissima letteratura di settore. Riguardo le prospettive di diffusione io personalmente penso che una delle vie da seguire sia quella della divulgazione, ed è quello che cerco di fare attraverso il mio sito“.
Il messaggio che preme trasmettere è proprio questo: non avere “paura” della musicoterapia e non vederla come un “trattamento curativo”, perché garantisce un contributo non indifferente in ogni momento della nostra vita. Occorre, anche a detta degli esperti del settore, prendere sempre più coscienza della validità di questa materia, in modo tale da spingere un maggior numero di persone ad affidarsi completamente a validi professionisti ed equipe di lavoro.
Fonte Immagine: musicaemente.it – Per la fotogallery si ringrazia Amedeo Martorana e Federica D’Arrigo