Dalla notte di Chernobyl alla serie televisiva, 34 anni dopo il disastro “affascina” ancora il mondo

Dalla notte di Chernobyl alla serie televisiva, 34 anni dopo il disastro “affascina” ancora il mondo

Gli incendi che hanno fagocitato nel corso di queste ultime settimane la grande foresta rossa che circonda la centrale nucleare di Cernobyl, poco distante la città di Pryp’jat’ (Ucraina) hanno risvegliato l’interesse di molti sugli eventi accaduti nell’area la notte tra il 25 e il 26 aprile 1986.

Il famoso reattore numero 4 della struttura realizzata a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 è entrato ormai di diritto nell’immaginario collettivo così come i fotogrammi che ritraggono i mastodontici palazzi disabitati della “città dei fiori”.

Un incubo, forse mai definitivamente sconfitto, ma che allo stesso tempo affascina e spinge a indagare sui fatti e sui ricordi di chi ha vissuto il dramma sulla propria pelle, con l’intento di tratteggiare una ricostruzione storica quanto più aderente alla realtà.

Tra i vari tentativi di restauro di quella folle notte e dei giorni successivi vi è quello dell’omonima serie televisiva “Chernobyl” realizzata da HBO e Sky e trasmessa nell’estate del 2019. Proprio in questi giorni caratterizzati dalla quarantena e dall’obbligo di rimanere all’interno delle proprie mura domestiche c’è stato una riscoperta di questo prodotto che ha riscosso parecchio successo nei mesi precedenti.

Soltanto nelle ultime due settimane, osservando i dati raccolti da Google Trends, è stato appurato un numero considerevole di termini di ricerca che rimandano alla serie tv del regista Craig Mazin. Nelle cinque puntate dalla durata di un’ora circa scorrono in rassegna le paure umane, dagli inefficienti tentativi di correzione di un disastro mai avvenuto prima allo sgomento per le estreme conseguenze, passando dall’illusione di una situazione meno grave del previsto.

Frasi come “andrà tutto bene” o “abbiamo la situazione sotto controllo” pronunciate dai cittadini di Pryp’jat’ e dagli ingegneri della sala di controllo del reattore, con a capo Anatolij Djatlov, si infrangono al cospetto delle parole crude di Valerij Legàsov, chimico sovietico inviato da Mosca per indagare sull’incidente.

Non meno importanti, nel contesto, sono le convinzioni di chi, vivendo gli ultimi anni della “Guerra Fredda” che contrappose il blocco occidentale con quello sovietico, formula incurantemente l’ipotesi di un “sabotaggio” o di un “bombardamento“, ignaro del terribile errore umano commesso soltanto a pochissimi chilometri di distanza da casa.

Il disastro di Chernobyl oggi non può che servire da insegnamento per affrontare i temi sempre più caldi dell’energia e della sicurezza sul luogo di lavoro, sotto lo sguardo di un mondo sempre più rivolto al rinnovabile per evitare il ripetersi di tragedie simili.

Fonte immagine: malatidicinema.it