“Culture of shame”, cultura della vergogna: società omerica o contemporanea?

Individualismo: è questa la parola cardine di due società apparentemente estranee poiché separate da un profondo gap temporale, ma effettivamente complici in quanto accomunate da una serie di analogie che le pongono in stretta relazione.

Vive tuttora la vergogna di cui Omero continua a parlare principalmente nelle scuole italiane, quella del divino Achille per primo, conseguente alla sottrazione del bottino di guerra ad eroi che necessitano gloria e riconoscimento pubblico, celata tuttavia sotto mentite spoglie. Ebbene sì, non sarebbe poi così impossibile, come si immagina, dare un seguito alla celebre Iliade in chiave social: le differenze fondamentali tra l’opera autentica ed il suo attuale prosieguo infatti consisterebbero essenzialmente nel bottino di guerra, simbolo di fama, che lascerebbe il suo posto ai followers ed ai likes, e nel battesimo dei gloriosi eroi sotto il nome di “influencers”.

La lotta, che offriva l’opportunità di dare corpo alla propria virtù, in età moderna, non sarebbe certamente condotta a colpi di spade, frecce o palle infuocate ma non si può affermare con altrettanta certezza che sia meno violenta o mieta un minor numero di vittime: è noto infatti che purtroppo gli spargimenti di sangue non scarseggiano nonostante siano causati da una banale tastiera (un’indagine condotta dalla Polizia di Stato nel 2017 per un’iniziativa che promuove il corretto utilizzo di internet su circa 8mila adolescenti in 18 regioni italiane, stima che il 59% delle vittime di cyberbullismo ha pensato almeno una volta al suicidio).

Non ci sarebbe dunque da stupirsi se, anche “nell’atto secondo”, si leggesse che è bene per ogni soldato essere abile nell’offendere l’avversario e dotato di una lucente armatura, dal momento che gli stratagemmi escogitati e messi in atto nel nuovo campo di battaglia multimediale convergono ad un unico scopo: abbattere la linea difensiva nemica. E se il raggiungimento di quest’ultimo comporta la messa in scena di un inganno, così da riscrivere magari la famosa storia del cavallo di Troia, bisogna essere pronti a travestirsi ed ad assumere sembianze improprie con una facilità tale che non stenta a suscitare un certo orgoglio.

L’opera attuale testimonierebbe con straordinaria fedeltà la nostra bellica quotidianità in cui la semina dell’esaltazione del singolo ha maturato nel tempo l’isolamento dello stesso dalla comunità.

Tale conseguenza, insieme a vergogna e depressione, è il prezzo da pagare di chi si focalizza su sé stesso e sulla propria immagine. Ma, una volta saldato il debito, perché mai non dovremmo iniziare ad andare oltre il nostro piccolo grande io aspirando a qualcosa di più alto attorno a cui far ruotare l’universo? Quelli  che venivano chiamati valori per esempio, e che non vengono nominati da tempo addietro, non tarderebbero a tornare in via se ciascuno, come comunità, ambisse nella loro resurrezione.

Martina De Gregorio, Classe III Sez. G – Liceo Classico “Nicola Spedalieri”