CATANIA – È da considerarsi “imputabile” Martina Patti, la 26enne condannata in primo grado a 30 anni di reclusione per l’omicidio della figlia Elena Del Pozzo, di quasi cinque anni, uccisa nel giugno 2022 e poi sepolta in un campo a Mascalucia dopo averne simulato il sequestro.
È quanto emerge dalla perizia collegiale disposta dalla Terza Corte d’Assise d’Appello di Catania, redatta dai professori Eugenio Aguglia, già ordinario di Psichiatria all’Università di Catania e presidente della Società Italiana di Psichiatria e Psicopatologia Forense, e Roberto Catanesi, ordinario di Psicopatologia forense all’Università “Aldo Moro” di Bari.
Secondo i due esperti, la donna era “in grado di partecipare coscientemente al processo” e al momento del delitto manteneva un sufficiente livello di coscienza e consapevolezza critica delle proprie azioni.
“Comportamenti coerenti e lucidi dopo il delitto”
Nella relazione i periti scrivono che “immediatamente dopo l’omicidio” Martina Patti si recò a casa per lavarsi e cambiarsi d’abito, telefonò ad alcune persone e fornì una falsa ricostruzione dei fatti.
“Dagli atti – spiegano Aguglia e Catanesi – emergono comportamenti coerenti e finalizzati, non espressivi di disorientamento o confusione. Quando si rese conto di avere le mani sporche di sangue e che la figlia era morta, non girovagò senza meta, ma agì con lucidità: si lavò, si cambiò e poi guidò fino a casa dei genitori, fingendo un rapimento”.
Nessun vizio di mente
Gli esperti escludono qualsiasi disturbo di coscienza, anche temporaneo: “È presente soltanto una parziale amnesia dell’azione delittuosa, ma tale limitazione non raggiunge un’intensità tale da configurare un vizio parziale di mente”.
La Corte d’Appello di Catania ha quindi recepito le conclusioni dei periti e aggiornato il processo al 4 novembre, quando sarà discussa la posizione della giovane madre, rea confessa di uno dei delitti più sconvolgenti degli ultimi anni.