Il Coronavirus ha rivoluzionato repentinamente le nostre vite, stravolto le abitudini e tutto ciò che faceva parte della nostra routine. Ogni realtà è coinvolta, anche il mondo della solidarietà. Il volontario ospedaliero, nello specifico, si trova “tra l’incudine e il martello“, tra la necessità di dare e l’impossibilità di farlo, dato che proprio in questi luoghi il rischio di contagio è elevato.
Dina Castronovo, presidente dell’associazione VOI (Volontari Ospedalieri Italiani), che opera su Catania e provincia con ben 350 volontari in 45 reparti di vario tipo, ci ha parlato della situazione attuale, di come è dovuto cambiare il modo di servire l’altro e lei, che da sempre è stata in prima linea a confortare, aiutare e regalare gioia agli ammalati, ha dovuto – responsabilmente – sospendere le attività di volontariato, sebbene faccia tanto male per chi c’è dentro.
A tal proposito, ha spiegato: “Premesso che noi del VOI siamo formati dai primari dei reparti in cui prestiamo servizio tramite specifici corsi base, siamo volontari a 360° e non solo quando c’è l’emergenza, ognuno col proprio turno fisso. Non ci attiviamo con progetti, ma la nostra è una missione: ci prendiamo l’impegno, scegliamo dove prestare servizio e diventiamo ‘specialisti’ di quel determinato reparto, anche a furia di operare lì. In un momento del genere, ho dovuto quindi confrontarmi con i vari direttori generali, che sono a capo delle aziende ospedaliere, e hanno compreso la mia decisione, sebbene ci siano stati alcuni che avrebbero voluto ancora la nostra presenza. Purtroppo, non è stato possibile in quanto non abbiamo l’attrezzatura idonea per affrontare l’emergenza. Tra le altre cose, la nostra è una doppia responsabilità: nel portare il virus e nel prenderlo, non possiamo permetterci di rischiare“.
La missione di cui parla Dina è senza dubbio quella di dare amore incondizionato, senza aspettarsi nulla in cambio, vedere che, grazie al volontario, si può accendere una speranza che ormai, da tempo, era spenta. Questo può avvenire soprattutto esprimendo vicinanza e conforto ed è emblematico, per il volontario ospedaliero, il contatto fisico e, seppur attrezzato di opportuna mascherina e guanti, il servizio non sarebbe lo stesso. Così la presidente VOI ha aggiunto: “Il rapporto che abbiamo con l’ammalato è diretto, non è a distanza ai piedi del letto, è alla testata del letto. È lì, strettamente fisico, perché lo aiutiamo, lo imbocchiamo, lo rassettiamo, gli asciughiamo le labbra, lo accarezziamo. Proprio per questo noi potremmo essere i primi portatori, così come i primi contagiati eventualmente. Ecco la mia risolutezza su questa decisione a sospendere tutto“.
A conferma di ciò, la situazione ospedaliera catanese ha dato le risposte cercate: “Meno male che ci siamo mossi preventivamente su questa linea perché, per esempio, in due reparti del Cannizzaro, dove noi volontari siamo attivissimi, abbiamo toccato con mano l’arrivo del Coronavirus: parliamo di Neurologia e Unità Spinale. Avremmo potuto scatenare nelle nostre famiglie, amici e quant’altro un vero contagio a catena. Quindi la decisione più idonea è stata quella esposta“.
Il volontario si trova in una posizione difficile: ha la voglia di far del bene e si sente “a casa” quando dà una mano d’aiuto, ma ha l’obbligo morale di non essere veicolo di contagio. Su questa linea di pensiero, la presidente: “Noi siamo inibiti come volontari nel porci all’ammalato ospedalizzato, mentre, a differenza nostra, chi è formato per le sos e supportato economicamente, nel momento di allerta che stiamo vivendo, può praticare il proprio servizio, ma è ben diverso da quello che facciamo noi in ospedale perché viviamo l’esperienza in modo empatico e non abbiamo alcun contributo economico esterno“.
Poi continua: “In questo momento soffriamo anche noi, siamo coinvolti emotivamente. C’è tanta, immensa sofferenza interiore, mi manca tutto. Solo noi sappiamo di cosa ha bisogno chi sta a letto, ha paura di morire e non sa a chi dirlo. Ha bisogno più della medicina: di essere abbracciato, confortato, di piangere insieme a noi (perché è inevitabile), di essere ascoltato, di sfogarsi. Questa è la nostra grande sofferenza, sapere che l’ammalato è solo a lottare tra la vita e la morte. Per noi è doloroso al massimo, perché nasciamo per confortare chi sta male e, proprio ora che c’è ancora più sofferenza, siamo obbligati a fermarci, così come nessun altro può stare accanto all’ammalato, neanche i familiari“.
Un aiuto concreto, sperimentato dall’associazione VOI, può essere fornito dalla tecnologia. Una videochiamata è realmente l’unico modo, allo stato attuale, per esprimere vicinanza a chi soffre e ha bisogno di sentirsi dire che andrà tutto bene. La stessa Dina Castronovo ci ha meglio detto: “Ovviamente siamo a contatto con i pazienti a lunga degenza, per esempio il reparto di Unità Spinale. Proprio con loro, periodicamente, facciamo delle videochiamate. L’infermiere sente squillare il telefono, corre ed effettua il collegamento. È un modo per confortarli: mandiamo baci, sorrisi e positività, li incoraggiamo sempre più. C’è anche da dire che, per chi sta molto male, la videochiamata incontra i suoi limiti ed ecco che emerge nuovamente la necessità di essere lì fisicamente“.
Il ritorno alla normalità, certo, non sarà semplice per nessuno, nemmeno per i volontari ospedalieri. A conferma di ciò, ecco le parole della presidente: “Sono molto realista, la vedo lunga e mi preoccupa molto l’arrivo dell’autunno. Sarà molto lento il nostro ingresso in ospedale perché siamo molto a contatto con medici, infermieri e ammalati. Anche gli operatori sanitari richiedono il nostro rientro, molti mi scrivono, mi contattano dicendo che noi manchiamo a tutto il personale. Si crea un clima bellissimo, di unione dato che la nostra presenza in reparto non è solo per i pazienti ma per chiunque stia lì“.
È indiscusso che la “lontananza forzata” non aiuta a stabilire legami necessari per chi sta male, ma la forza del volontariato – intrinseca ed estrinseca – va oltre le distanze ed è inesauribile. Questo periodo di emergenza è da considerare solo come una “prova“, una “sfida“, è come se anche il volontariato fosse in “standby” in attesa di poter “premere” nuovamente “play“.
Fonte Foto: Facebook – Pagina VOI “Volontari Ospedalieri Italiani”