La banalizzazione dei titoli di giornale: Michela Murgia attacca i titolisti e chiarisce il potere delle parole

La banalizzazione dei titoli di giornale: Michela Murgia attacca i titolisti e chiarisce il potere delle parole

QUESTO ARTICOLO FA PARTE DEL CONCORSO DIVENTA GIORNALISTA, RISERVATO AGLI STUDENTI DELLE SCUOLE SUPERIORI DELLA PROVINCIA DI CATANIA.

In un convegno tenuto a Torino, la scrittrice Michela Murgia e il giornalista Luca Sofri hanno tenuto una presentazione riguardo la manomissione, l’abuso e l’uso sciatto o manipolatore delle parole. Nonostante la notizia risalga al marzo dello scorso anno, la problematica della deriva comunicativa è oggi più attuale che mai e sembra opportuno riprendere l’argomento divulgando le tesi dell’autrice.

Durante l’incontro, la Murgia, arguta e diretta come sempre, si è scagliata contro i giornalisti che spesso non utilizzano i titoli degli articoli per sintetizzare una verità, quanto per ricevere il consenso del lettore. Questo perché semplificare un testo è un’operazione complicata che spesso si riduce ad una banalizzazione del contenuto. Ma che differenza c’è tra sintesi e banalizzazione a livello giornalistico? Seguono due chiari esempi riportati dalla scrittrice stessa.

-Semplificare è dire: la difficoltà a entrare in Italia con un permesso regolare facilita la clandestinità delle persone immigrate. L’invisibilità che ne deriva offre manodopera disperata a un mercato del lavoro nero che nega i diritti e sfrutta le persone. Favorire la regolarizzazione di chi entra per lavorare diminuisce la possibilità che lo schiavismo imposto agli immigrati invisibili si riversi anche sulle condizioni dei lavoratori italiani.

-Banalizzare è affermare: gli immigrati ci rubano il lavoro e ci abbassano le paghe.
Tecnicamente la materia è la stessa ma, mentre il primo periodo mira a semplificare un argomento complesso per facilitarne la comprensione, il secondo fa leva su una problematica sociale e sfrutta la paura nei confronti della disoccupazione per ottenere il consenso del lettore. Ma in quest’ultimo caso i giornalisti si sono concentrati sul titolo accattivante e non hanno curato l’argomentazione del problema.

Per di più, a forza di leggere titoli eclatanti, il lettore medio si è abituato a quel tipo di comunicazione così che un titolo piano e minimamente misurato non attira più la sua attenzione. Invece, sostiene l’autrice, bisognerebbe ricordare che le parole più di ogni altra cosa hanno il potere di influenzare la realtà e che titoli poco pensati possono favorire l’insorgere di conseguenze disastrose dovute alla disinformazione. Poiché al giorno d’oggi anche i giornalisti scrivono spesso con superficialità, sostiene la Murgia, spetta al lettore filtrare con cura le informazioni che riceve e diffidare quando si imbatte in testi che sintetizzano grossolanamente argomenti troppo articolati.

Marianna Romeo III E – Liceo Leonardo – Giarre (CT)