CATANIA – La Cisal Catania, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, interviene sui dati diffusi dal 12° Rapporto Eures sul femminicidio e sul persistente divario di genere che penalizza le donne nel mercato del lavoro.
Tra il 1° gennaio e il 20 ottobre 2025, in Italia sono state uccise 85 donne in omicidi volontari. Un numero leggermente inferiore rispetto al 2024 (102 vittime), ma che mantiene una gravità assoluta: oltre un terzo degli omicidi vede una donna come vittima, il valore più alto mai registrato. Le regioni del Nord concentrano il 48,2% dei casi (41), seguite dal Sud (25, pari al 29,4%) e dal Centro (19, pari al 22,4%).
La sfera familiare si conferma l’ambiente più pericoloso: il 92,9% delle donne uccise è stato vittima di un familiare o del partner. Nel 70,9% dei casi si tratta di violenze maturate all’interno di relazioni di coppia. Tra i femminicidi commessi dal partner, la convivenza costituisce il contesto più rischioso: 38 donne erano mogli o conviventi, 15 sono state uccise da ex compagni e 3 da partner occasionali.
“Questi numeri raccontano una realtà insopportabile – dichiara Iolanda Iacapraro dellaCisal Catania –. Le donne continuano a morire soprattutto dentro le mura domestiche, lì dove dovrebbe esserci protezione e non violenza. È un fallimento sociale che non può lasciarci indifferenti“.
Ma all’emergenza della violenza si somma una seconda, più silenziosa ma altrettanto drammatica: quella economica.
In Italia lavora solo il 49% delle donne, spesso con contratti precari e con una retribuzione inferiore del 30% rispetto agli uomini. Le donne ottengono risultati migliori negli studi, ma incontrano maggiori ostacoli nella crescita professionale e nella stabilità lavorativa. La difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia spinge molte a ridurre l’orario o ad abbandonare del tutto l’impiego, con effetti pesanti anche sulle pensioni, in media più basse del 30%.
“Una donna senza indipendenza economica è più esposta al rischio di violenza, dipendenza e ricatto – prosegue Iacapraro –. Per questo la battaglia per il lavoro femminile è anche una battaglia contro i maltrattamenti e contro la povertà, soprattutto quella che colpisce le donne in età avanzata“.
Ogni anno 20.000 donne lasciano il lavoro dopo la nascita di un figlio, e una su tre lo fa perché non riesce a conciliare occupazione e cura. Solo il 18% dei bambini accede agli asili nido pubblici, evidenziando una grave carenza di servizi essenziali per la genitorialità.
Di fronte a questo scenario, i sindacati stanno lavorando attraverso la contrattazione di genere per introdurre misure di conciliazione vita-lavoro: orari flessibili, smart working, welfare aziendale, servizi educativi e sanitari integrativi, formazione e sostegno alla maternità. Strumenti che stanno iniziando a produrre risultati, ma ancora in modo insufficiente.
“Una società che non mette le donne nelle condizioni di lavorare, crescere professionalmente e vivere libere dalla violenza è una società che limita sé stessa – conclude Iacapraro –. L’occupazione femminile non è solo un obiettivo di equità: è una leva di crescita, di innovazione e di coesione sociale. Serve una strategia nazionale forte, continua e strutturale“.
La Cisal Catania ribadisce – anche per voce del suo Segretario provinciale Giovanni Lo Schiavo – la necessità di politiche pubbliche più incisive e di un sistema di servizi che sostenga davvero il lavoro delle donne, la genitorialità e l’indipendenza economica, condizione essenziale per tutelare dignità, libertà e diritti.




