AUGUSTA – Alzate le paratie e lasciate fuori il mondo cosiddetto reale, obliterate per poco più di un’ora e mezza la musica “dejà vu” e tenetevi pronti a un “viaggio interstellare” perché si va in una nuova dimensione tra improvvisazioni e enarmonia, giusto per intenderci quella di Eugenio Finardi e il suo “Euphonia suite tour”.
Uno spettacolo incastonato all’interno della raffinata rassegna culturale “Luna Piana”, allettante proposta curata dal M.° Vincenzo Spampinato che si svolge, nei mesi di luglio e agosto, nell’amena cornice di un anfiteatro ancora tutto da scoprire come il Thalos di Augusta.
Sono già le prime note a catturare un attento pubblico che lentamente, quanto piacevolmente, rimane avvinghiato in un flow che ci ha condotti, con la delicatezza a cui ci ha sempre abituato l’artista milanese, in dimensioni armoniche poco, o per nulla, esplorate, quasi inaccessibili e tetragone al quel “rumore” di oggi chiamato, volgarmente, musica.
Una suite, quella di Finardi, che si snoda in un unicum che cerca (riuscendoci) di creare un ponte tra noi e il mistero dell’Universo, che prova a sviluppare concatenate connettività tra i nostri tangibili limiti sensoriali e la tracimante coscienza di essere parte di un infinito cosmico, un lavoro che ci riporta in mente, in un naturale parallelismo tra due arti come la musica e la letteratura, Joyce e il suo flusso di coscienza.
Unico brano, dunque, che diventa “ilozoistico” contenitore e contenuto di tante perle del musicista milanese, serbatoio di ininterrotte contaminazioni all’interno del suo, ma anche di altri (Fossati & Battiato), repertorio musicale fino all’immancabile “Musica ribelle”.
Ed è proprio il titolo di questo suo famosissimo brano a trasformarsi in preziosa traccia per l’incipit alla nostra prima domanda:
“Musica ribelle” oggi, ma rispetto al passato ribelle a cosa?
“Le motivazioni al mio essere ribelle sono sempre le stesse: gli atteggiamenti autoritari, lo spreco…” un attimo di riflessione e il nostro interlocutore continua nel risponderci ma stavolta rimarcando le parole con una voce ancora più decisa:
“Pensa tu alle opportunità che ha, e che ti dà, una società come la nostra, un luogo dove potremmo vivere veramente come se fossimo in paradiso, questo è il paradiso terreste! e noi lo stiamo cacciando via! La mia ribellione è al brutto, alla stupidità, all’ignavia, all’indifferenza, tutto quello che non è partecipazione alla vita e alla crescita”.
Nessun tentennamento nella voce, dove si percepisce che la risposta coglie nella più cristallina sincerità. E con la musica che ancora risuona, prepotentemente, nelle ridestate sfere emozionali, la seconda domanda diventa inevitabile.
Il suo è un concerto strutturato in un flusso continuo di musica: lo stesso può essere metafora del flusso continuo della vita? e ha timore che questa continuità possa “interrompersi?”.
“Sì, assolutamente ‘Euphonia suite tour‘ può rappresentare il flusso della vita, del tempo, dell’esperienza, la possibilità di trovare ponti tra diverse stagioni, strumenti che collegano pezzi antichi a nuovi. La musica si lega a questo concetto di continuità, è una arte che ha come tela il tempo, una continuità che s’inserisce in un desiderio di ricerca, di trascendenza, e considero la musica una cosa veramente sacra, per me rappresenta l’arte dell’Assoluto.
Per esempio, a confronto, la parola è indiscutibilmente un’arte individuale, la parola è estremante singolare ed è solo sua l’esperienza, mentre la musica rende universali anche le parole.
Non dimentichiamo che la musica rispetta le regole della matematica che sono poi le medesime regole che governano l’Universo, quelle che governano questa bella Luna piena che possiamo ammirare stasera e che sono le stesse regole cha abbiamo usato noi per cantare poco fa.
Mi chiedi se ho timore che questo flusso si possa ‘interrompere?’. Onestamente no, perché mi rendo conto che avendo voglia di fare ancora tanti progetti, di fare cose nuove, che l’interruzione della vita la penso ancora lontana”.
Chi è Katia?
“Katia è una storia vera, una canzone che ha tradotto alla lettera la realtà, credimi è tutto vero, anche i luoghi, le persone come Sansone anche se purtroppo, adesso, non c’è più”.
Perché dedicargli una canzone?
“Perché per me ha rappresentato l’amore più puro, quello mai consumato, quell’amore che si prova a undici anni, quando ancora nemmeno sai cos’è il sesso.
Un’età della vita quando hai voglia semplicemente di guardare una ragazza, di sentire il suo profumo, di essere nella stessa stanza. Io non ho mi parlato con Katia, difatti mi chiedono se l’ho mai trovata. La risposta è no, perché nemmeno lei sa di essere questa Katia!”.
La domanda seguente sembrerebbe condurci distanti dal contesto della serata, ma a un attento ascoltatore non possono sfuggire i reiterati riferimenti durante il concerto, come direbbe Kant, al: “Cielo stellato sopra di me” e pertanto il Finardi astrofilo, come lui stesso si definisce, non si sorprende per nulla quando gli chiediamo:
Le recenti immagini del telescopio spaziale J. Webb cosa hanno suscitato nell’artista che è in lei?
“La mia ideologia mi dice che per me l’Universo è il senso del sacro della vita, è il tutto in toto. Se ci pensi è la risposta a tutte le domande che spesso ci poniamo, è qualcosa di onnipotente, è onnisciente, ha creato sé stesso, ha creato il tempo, lo spazio.
Pensa, il fatto che noi stessi conteniamo nel nostro corpo materia stellare quelle immagini non possono non suscitare una commozione mistica”.
Abbiamo assistito a un concerto che coglie nel flusso della vita con racconti di guerra, di sacrifici umani, ma anche di Willy il Coyote duri a morire e di terapeutici, immarcescibili, strumenti di comunicazione come la radio e, più di tutto, solitudini da rifuggire e su questo tema le chiedo:
Ha timore della solitudine?
Un solo, breve, istante, giusto il tempo di un nervoso battito di ciglia e la risposta arriva decisa, di quelle che non ammette repliche:
“In realtà io sono molto solo e temo la solitudine, tra l’altro questo lavoro rende molto soli perché, alla fine, tutti hanno un’immagine di te che offusca la tua vera realtà è quasi un discorso molto pirandelliano”.
E la chiusura di questa lunga e delicata chiacchierata, non ce ne voglia il maestro, “pretende” che sia dedicata al pianista Mirko Signorile e al sassofonista Raffaele Casarano, i due musicisti che hanno accompagnato Eugenio Finardi esaltandone, oltre l’impensabile, la sua musica e che collaborano con l’artista milanese da più di dieci anni.
Ascoltandoli non ci si può non chiedere: ma si può davvero essere così bravi, aggraziati, sensibili, nell’entrare in perfetta empatia con i tasti dello strumento che stai suonando diventando quasi un unico corpo con lo stesso? Si può immettere tanto fiato in un sax per far emettere un suono così ben modulato, tagliente, trasversale e lineare nello stesso istante?
Noi abbiamo assistito a tutto questo, anzi la domanda, a poche ore di distanza, la possiamo rimodulare in un’altra domanda: ma davvero siamo stati così fortunati ad aver ascoltando tanta bravura? Pertanto, per chi non c’era: sì, per voi è stato un vero peccato essere stati, venerdì sera, da tutt’altra parte.
Foto di Concetto Sciuto