CASSIBILE – L’Arma dei carabinieri è uno dei principali baluardi, nel territorio, per il contrasto alla violenza di genere e la tutela delle vittime.
Ne parliamo con il Maresciallo Ordinario Rossana Chiriatti, effettiva al comando Stazione carabinieri di Cassibile.
Quello della violenza di genere è un fenomeno attuale che si ripete con preoccupante frequenza. Quali sono gli strumenti che, secondo la Sua esperienza professionale, sarebbe opportuno adottare per prevenirlo e contrastarlo efficacemente?
“Il fenomeno della violenza di genere è di natura “trasversale” e trova terreno fertile in egual misura su tutto il territorio nazionale, anche se con connotazioni differenti in base al tessuto sociale e culturale di riferimento.
Considerando proprio questa eterogeneità, è difficile stabilire quali siano gli strumenti più idonei per contrastarlo. Sicuramente, al fine di arginarlo e contenerlo è necessario che tutte le Istituzioni operino in sinergia, promuovendo campagne di sensibilizzazione su questo tema, coinvolgendo tutte le fasce d’età e a tutti i livelli la popolazione.
È necessario inoltre che di questa tematica si parli costantemente, in modo che le vittime non vadano mai dimenticate e che la loro esperienza sia di testimonianza e di ispirazione, sia per le opere di prevenzione, sia per decidere di farsi avanti, e denunciare eventuali torti e violenze subìti”.
Quali sono, in concreto, i campanelli d’allarme che le potenziali vittime possono cogliere?
“Il cosiddetto campanello d’allarme per definizione è un segnale anticipatore di un evento spiacevole. Per questo motivo dovremmo considerare quali campanelli d’allarme tutti quegli atteggiamenti volti a denigrare, mettere in difficoltà e incidere negativamente sull’autostima, fino ad arrivare all’estrema ratio della violenza in senso fisico, che poi è quella tangibile e più facilmente riconoscibile.
La violenza ha molte sfaccettature, e può essere, oltre che fisica, anche morale, psicologica ed economica. Può manifestarsi sotto forma di ricatto, intimidazione, vittimismo e privazione e in nessuno di questi casi può essere sottovalutata.
Una volta compreso che la propria relazione ha assunto una connotazione nella quale sono frequenti uno o più segnali di questa natura è necessario fermarsi a riflettere, confrontarsi il più presto possibile con una persona di fiducia e con le Istituzioni e non indugiare nel chiedere aiuto“.
Quando una donna dovrebbe chiedere aiuto e a chi dovrebbe rivolgersi? I carabinieri sono davvero l’estrema ratio o ci si può rivolgere all’Arma anche solo per chiedere consigli a personale qualificato?
“Una donna, o comunque una vittima di violenza, può rivolgersi all’Arma dei carabinieri in qualsiasi momento e in ogni evenienza, non solo in casi estremi nei quali teme per la sua incolumità e per la sua sicurezza.
Tutte le caserme presenti sul territorio devono essere un punto di riferimento anche solo per richiedere un consiglio e per confrontarsi con qualcuno che sia disposto e propenso al dialogo e all’ascolto, in modo tale da poter prevenire già sul nascere eventuali situazioni di disagio e di pericolo e consentire un intervento tempestivo ed efficace.
In quest’ottica, l’invito di ogni carabiniere è più che mai quello di non isolarsi o cercare di risolvere da soli i problemi ma, al contrario, di riporre nell’Arma la fiducia necessaria per farsi guidare con consapevolezza in tutte le fasi della denuncia, sia nell’immediato che nelle fasi successive, non meno importanti e delicate, durante le quali comunque la vittima non verrà mai lasciata da sola né abbandonata a se stessa“.
Qual è il momento in cui la presunta vittima non può più rimandare?
“La presunta vittima non può più rimandare proprio quando acquisisce la consapevolezza di essere “una vittima”.
Quando inevitabilmente si interiorizza la consapevolezza che un atteggiamento, un’attenzione o un gesto non ci facciano più sentire adeguati, protetti e sicuri, in automatico non possiamo più attendere: in questi casi non si può parlare di “prima volta”.
La prima volta di uno schiaffo, di una privazione o di una mortificazione non può e non deve esistere. Una volta è già abbastanza. Una volta non dovrebbe esistere ma, laddove esistesse, DEVE essere l’ultima“.
Si è parlato spesso di “stanze tutte per sé” all’interno di alcune caserme dell’Arma. Cosa sono?
“La “Stanza tutta per sé” è un ambiente protetto, neutro e attrezzato per l’audizione di vittime vulnerabili, come per esempio donne che hanno vissuto episodi di maltrattamento o minori, anch’essi spettatori o vittime – spesso inconsapevoli – di condotte violente.
Queste stanze sono ubicate all’interno di molti comandi dell’Arma e nulla hanno a che fare con l’ambiente tipico di un “ufficio”: al loro interno infatti, sono presenti quadri colorati, giocattoli, cuscini e poltrone, oltre ai necessari strumenti di videoripresa utili per l’ascolto protetto.
In questo ambiente, scevro di ogni rimando all’arredamento tipico di una Caserma dei carabinieri è possibile mettere maggiormente a suo agio la persona da ascoltare ed entrare in empatia con lei.
A proposito dell’importanza della “Stanza tutta per sé” e della necessità di rivolgersi alle Forze dell’Ordine già alle prime avvisaglie di un “comportamento tossico”, riporto un esempio che è diventato nel tempo per me tanto un valido espediente per far comprendere quanto l’ascolto e la comunicazione siano fondamentali, tanto un simbolo di speranza.
Si tratta della storia di due amiche che avevano concordato un “segnale di aiuto” reciproco e segreto, che consisteva nell’invio in chat di un puntino, che poi è stato da me ribattezzato “il puntino salvavita”.
È stato proprio grazie all’invio di un puntino in una chat che si sono innescate tutte le attività necessarie per “salvare” una delle due amiche che, divenuta preda di un compagno che l’aveva privata della libertà e le controllava il cellulare, aveva come unica possibilità quella di sperare nella complicità con l’amica, ricorrendo a quel segnale che prima di allora non era mai servito.
Quest’ultima, capendo la situazione, con una scusa è riuscita a condurre la vittima in Caserma, salvandola dal pericolo e facendole ritrovare finalmente la serenità“.
Nell’ambito della nostra provincia, pensa che la donna possa ritenersi davvero emancipata?
“Molti esponenti delle più alte cariche Istituzionali della Provincia Aretusea sono donne: basti pensare al Prefetto, al Presidente del Tribunale e al Procuratore Capo della Repubblica, per citarne alcune.
Al giorno d’oggi infatti, sebbene ci siano ancora dei retaggi culturali tipici del passato, si stanno sempre più superando le vecchie concezioni secondo le quali vige ancora la disparità di genere e si sta facendo sempre più largo l’idea che per creare un sistema vincente si debbano abbracciare ideali di reciprocità e di uguaglianza“.
Cosa succede dopo la denuncia?
“Già nelle prime fasi del suo accesso in caserma la vittima di violenza verrà messa nelle migliori condizioni sia di raccontare la propria storia, sia di essere ascoltata, compresa e supportata, mediante l’ascolto in locali dedicati e la presenza di personale che saprà metterla a suo agio.
Durante la denuncia Le verranno poi illustrate tutte le fasi successive alle quali andrà incontro dopo aver compiuto questo importante passo e le verrà ribadito che non sarà lasciata da sola e che verrà seguita in ogni fase, che consisterà anche nel metterla in contatto con strutture apposite sul territorio quali per esempio località protette e Centri Antiviolenza.
La fase di denuncia è quanto mai necessaria per iniziare un difficile ma necessario processo che porterà ad una rinascita, e al ritrovamento della serenità perduta“.
Esiste un modo “adeguato” per comportarsi con una vittima di violenza?
“Sebbene ogni carabiniere venga formato dal punto di vista tecnico-professionale per fronteggiare ogni situazione, non è mai facile approcciare con una persona vittima di violenza, che si trovi quindi in uno stato di vulnerabilità.
In questo caso più che mai quindi è necessario affinare e fare leva sulle proprie doti di empatia e delicatezza, ascoltando attentamente sia quanto viene “esplicitamente” detto, tanto prestando attenzione alle cosiddette “parole non dette”.
Spesso infatti, dietro ciò che non viene raccontato, ma che viene lasciato intendere tramite uno sguardo o un gesto, è possibile cogliere la vastità delle emozioni vissute da chi ci sta chiedendo aiuto e sta riponendo in noi speranza e fiducia. Questa è la sfida più grande: non deludere queste aspettative“.
Esiste un identikit di “persona violenta” che può essere universalmente valido per prevenire il fenomeno della violenza di genere?
“Se esistesse un identikit con cui tracciare i tratti salienti della persona violenta sarebbe tutto molto più facile e molti passi in avanti verrebbero fatti nel contrasto alla violenza di genere.
Tuttavia, anche se non esiste questa possibilità, è bene ricordare sempre quei “campanelli d’allarme” che devono accendere in noi la lampadina della consapevolezza che nessuno, e sottolineo Nessuno, può decidere della nostra vita, o privarci della serenità“.
“La felicità la si può trovare anche negli attimi più tenebrosi, se solo uno si ricorda “di accendere la luce”. (J.K. Rowling).