Cronaca

Siracusa, 13 arresti del clan Trigila: dal ruolo delle donne alle intercettazioni durante i colloqui

SIRACUSA – La Polizia di Stato di Siracusa, unitamente al Comando Provinciale dei carabinieri ed al Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Siracusa, su delega della Procura Distrettuale della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, ha eseguito un’ordinanza applicativa di misura cautelare in carcere emessa dal G.I.P. del Tribunale di Catania, nei confronti di 11 soggetti facenti parte dell’associazione di tipo mafioso denominata “Clan Trigila”, operante nei territori della zona sud-orientale della provincia di Siracusa tra Noto, Avola, Pachino e Rosolini e di ulteriori 2 soggetti ritenuti responsabili dei reati di estorsione aggravata realizzata con metodo mafioso.

Operazione Robin Hood

Dalle indagini è emerso che il clan, avvalendosi della forza intimidatrice derivante dal vincolo associativo per acquisire in modo diretto o indiretto il controllo e la gestione di attività economiche, si è assicurato una posizione dominante nei comparti del trasporto su gomma di prodotti ortofrutticoli, della produzione di pedane e imballaggi e della produzione e commercio di prodotti caseari, influendo e alterando le regole della concorrenza.

L’attività d’indagine, avviata nei mesi conclusivi dell’anno 2016 e condotta sino alla stagione estiva del 2018, ha consentito di accertare come, nonostante la lunga detenzione del fondatore Antonio Giuseppe Trigila, e di altre figure di vertice quali figlio del boss, il clan Trigila avesse continuato ad operare grazie al fondamentale contributo dei più stretti familiari del capo ovvero la moglie e la figlia, nonché attraverso l’opera di alcuni uomini di assoluta fiducia preposti alla conduzione delle attività illecite più remunerative.

Sebbene detenuto, Antonio Giuseppe Trigila, unitamente al figlio con il quale era in costante contatto epistolare, continuava a impartire le disposizioni finalizzate alla direzione del sodalizio durante i colloqui sostenuti con i propri familiari, anch’essi affiliati, dirigendo attività strumentalmente tese a conseguire il controllo delle attività economiche del territorio. I sodali, inoltre, avevano proseguito la consumazione di reati e di altre condotte finalizzate ad assicurare all’associazione, attraverso la forza di intimidazione, il controllo del territorio.

In merito alle attività illecite documentate nel corso dell’indagine i poliziotti hanno accertato come il clan Trigila agisse ricorrendo a un modus operandi consolidato nel tempo, che vedeva nella penetrazione del tessuto economico del territorio, con aziende capaci di alterare le regole della concorrenza e di acquisire una posizione dominante grazie al nome dei Trigila, il terreno di elezione grazie al quale conseguire illeciti profitti.

Ciò avveniva, ad esempio, nell’intermediazione imposta nel settore dei trasporti dei prodotti agricoli, nelle estorsioni agli operatori economici e nell’acquisizione di fondi agricoli finalizzati alle richieste di contributi europei. Accanto a queste, naturalmente, vi erano anche le attività tradizionalmente illecite come il traffico di sostanze stupefacenti.

La figura di Giuseppe Crispino

Tra i soggetti in posizione apicale spiccava in assoluto la figura di Giuseppe Crispino, vero e proprio “reggente in libertà” del sodalizio, al quale, sino alla data del suo arresto avvenuto il 4 luglio 2018, era stata affidata la raccolta dei proventi illeciti necessari al sostentamento dell’associazione, il pagamento degli stipendi alle famiglie dei sodali detenuti, la detenzione delle armi e la conduzione delle attività delittuose più delicate quali le estorsioni e il traffico di sostanze stupefacenti. Uomini di fiducia erano poi collocati nei comparti ritenuti nevralgici per il mantenimento e lo sviluppo del clan.

Le estorsioni da parte del “u caliddu”

Uno dei soggetti, detto “u caliddu”, era il soggetto che grazie ai contatti con le aziende di autotrasporti che operavano nella zona sud della provincia e in quella della limitrofa Ragusa, aveva il compito di raccogliere i versamenti di denaro imposti agli operatori del settore per poter lavorare senza incorrere in problemi.

Sul punto, le indagini hanno accertato la consumazione di tre episodi di estorsione ai danni di operatori del settore del trasporto merci per conto terzi.

Segnatamente, il soggetto, mediante minaccia e avvalendosi della forza promanante dal vincolo associativo, impediva ai trasportatori di lavorare liberamente in quello che egli stesso definiva il “suo” territorio ovvero costringeva autotrasportatori e aziende ad avvalersi della sua attività di intermediazione o a versargli somme di denaro (“ma chi ve l’ha data questa autorizzazione” – “io sto prendendo i bins e gli sto dando fuoco ora stesso, subito. E qua non ci deve entrare nessuno, se prima non ve lo dico io, perché il padrone (…) sono io”).

Al nipote di Antonio Trigila, di recente inserimento nell’organigramma mafioso, venivano affidati gli affari relativi all’acquisizione e al controllo dei fondi agricoli nella ampia zona di competenza del clan Trigila.

Il ruolo della moglie e della figlia del boss

Del tutto peculiari, inoltre, le figure della moglie e della figlia del soggetto ritenuto a capo dell’organizzazione, rispettivamente, profonde conoscitrici delle dinamiche interne del clan e delle metodologie utili a sviare eventuali investigazioni da parte delle forze di polizia, come emergeva dal costante ricorso al linguaggio convenzionale utilizzato con Antonio Trigila nel corso dei colloqui.

Nel corso dell’indagine, le donne svolgevano il delicato compito di veicolare gli ordini del congiunto utili alla organizzazione e gestione delle attività, non disdegnando di intervenire in prima persona quando si rendeva necessario utilizzare la valenza evocativa promanante dal rapporto di coniugio.

Attorno alle figure apicali, vi era poi un nutrito numero di fiancheggiatori e facilitatori che spesso si limitavano a fornire un contributo finalizzato a veicolare le informazioni e a fissare gli appuntamenti tra i sodali. Sia pure non direttamente incisivo nelle dinamiche delinquenziali di produzione di profitti illeciti, si trattava di un apporto svolto con piena consapevolezza, che consentiva agli uomini del clan di non esporsi e di eludere la costante attenzione cui erano sottoposti in virtù del vincolo di affiliazione.

Infine, alla base del gruppo, operavano alcuni soggetti con mansioni prettamente esecutive, che mettevano a disposizione la propria opera per perpetrare le illecite attività utili alla conduzione del clan, quali le azioni intimidatorie, violente e le richieste estorsive.

L’arresto di Giuseppe Crispino, avvenuto in data 4 luglio 2018 perché trovato in possesso di circa 650 grammi di cocaina e di 4 pistole perfettamente funzionanti illegalmente detenute, era la prova lampante di come il sodalizio fosse ampiamente operativo, spaziando su più fronti, e detenesse un arsenale cui attingere in caso di necessità.

Le intercettazioni

Nonostante la lunga detenzione sofferta, a condurre saldamente il clan Trigila e le sue molteplici attività illecite era ancora Antonio Giuseppe Trigila. Estremamente significativa era la spiegazione che lo stesso esponente mafioso forniva alla nipote, della sua attività delinquenziale: “Loro dicono per Mafiosità, invece io sono un contrasto dello Stato!…che cosa significa contrasto dello Stato?”.

L’esecuzione delle misure cautelari a carico di 3 degli odierni arrestati, sono state eseguite dai poliziotti della Squadra Mobile di Siracusa con il concorso delle Squadre Mobili di L’Aquila, Terni ed Ancona.

Il Reparto Operativo del Comando Provinciale di Siracusa è stato delegato ad eseguire la misura cautelare a carico di uno dei soggetti essendo confluite nell’indagine risultanze di altra recente attività d’indagine compiuta dal Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Siracusa, incentrata sul controllo a scopo estorsivo dei trasporti su gomma, che hanno permesso di acquisire specifici e determinanti elementi a carico dell’indagato.

Il sequestro a carico di un indagato

Il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Siracusa ha eseguito il sequestro preventivo della somma di 18.171 euro, individuata quale profitto del reato di truffa aggravata finalizzata al conseguimento di erogazioni pubbliche.

Alle operazioni hanno partecipato circa 60 poliziotti della Questura di Siracusa, del Reparto Prevenzione Crimine e dei Cinofili della Polizia di Stato, oltre a militari dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza.

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Tag: Arresti Avola Clan Trigila Evidenza Noto Operazione Robin Hood Pachino Rosolini Siracusa

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